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Il Maracanazo è anche donna

La Seleçao femminile ko nello stadio fatale ai Mondiali del '50

Marco Lombardo

nostro inviato a Rio de Janeiro

Il Maracanazo non ha sesso e neppure un'età. Il Maracanã non è più quello di una volta, ma dentro si aggirano ancora le anime vestite in maglia amarela di Leonidas, Garrincha, Rivelino, Pelè ed anche il fantasma di Alcides Ghiggia, l'uomo che diede vita appunto al Maracanazo. Era il 16 luglio 1950, quello di Brasilia-Uruguay 1-2 finale dei mondiali di calcio, il giorno del dramma di sport e di popolo. Sugli spalti in 200mila, in uno stadio che la leggenda vuole sia riuscito a contenerne anche 350.000 di spettatori. Di umanità. E da quel momento il Maracanazo è un modo di dire, una sciagura che pende per sempre sulla testa del Brasile nel momento in cui sta per uscire dalla sua angoscia quotidiana. L'uruguagio Varela dopo aver alzato la Coppa Rimet si guardò intorno vide solo disperazione, e un giorno confessò: «Dovessi ripetere quella partita, segnerei un gol nella mia porta piuttosto che vedere ridotta in quel modo così tanta gente». Non è certo stato così martedì, ma il Maracanã ha cambiato anima ma non la sua storia. E nel giorno in cui i tacchetti leggeri delle donne hanno violato il tempio del pallone, il risultato è stato lo stesso: tutti a sbattere contro il muro della Svezia fino alla sconfitta ai rigori. Perché il Maracanazo, già, non ha sesso.

Il Brasile ha avuto il suo martedì da telenovela, un filo logico e inesorabile che ha legato le sventure di squadra, che ha fatto sparire le speranze, smarrire certezze. Eliminata la pallamano uomini, ma soprattutto ciò che c'era di femminile in giro per Rio de Janeiro: la pallanuoto, due coppie di beach volley in semifinale, la pallavolo (una tragedia) e, soprattutto, la squadra di futebol. Un Maracanazo globale. C'era tutto per un giorno di gloria, è stata ancora una volta la legge del destino. Eppure Marta e le sue sorelle sono impossibili da non amare, con quei nomi da cartone animato stampati sulle spalle: Monica, Cristiane, Andressa, Poliana E così è finita comunque tra gli applausi mischiati alle lacrime, «perché abbiamo dimostrato cosa sappiamo fare noi ragazze con un pallone tra i piedi. Vinceremo il bronzo, il mondo e il Brasile si è finalmente accorto di noi». Perché la storia un giorno racconterà l'epica di un nuovo fallimento.

E il Maracanã, ha assistito impietoso, stracolmo com'era di speranza. Bellissimo e maledetto, così come solo può succedere lì dove il maledetto diventa bellissimo. È l'essenza e l'anima di questo Paese, che aspetta sempre la redenzione. La stessa anima in maglia amarela che si aggira nel tempio, mentre la gente sfolla con il solito sguardo di chi non riesce a liberarsi dalla dannazione.

E ci sarà, come sempre, una prossima occasione, perché la Seleção degli uomini in finale potrebbe incontrare la Germania e sarebbe una rivincita dell'1-7 subito due anni fa nei mondiali di casa. Però lì si era a Belo Horizonte e fu un vero Mineirazo. Tutta un'altra leggenda.

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