Il business del calcio italiano al tempo del Covid-19 rischia il crack. È bastato mettere insieme questi due argomenti, in un convegno di Glocal20, rassegna varesina sull'informazione patrocinata dall'ordine dei giornalisti della Lombardia, e convocare Beppe Marotta, ad dell'Inter e consigliere federale, insieme con i direttori Zazzaroni (Corsport) e Ferri (Sky sport), per ottenere numeri e cifre che suonano come ultima chiamata e reclamare interventi drastici in materia. «Se i club europei, attraverso le rispettive leghe, non riusciranno a sedersi allo stesso tavolo, a fare per una volta sistema evitando la concorrenza spietata, in tema di riduzione del costo del lavoro, la fine è dietro l'angolo»: questo lo scenario descritto da Marotta. Già in tempi di vacche grasse, a dire il vero, i conti non tornavano come possono documentare i conti degli ultimi quattro anni, scanditi in Italia tra l'altro, dall'avvento di molte proprietà straniere (americane in particolare) e dall'addio delle migliori famiglie dell'imprenditoria italiana (Berlusconi, Moratti, Della Valle, Sensi). Nel corso delle ultime 4 stagioni, a fronte dei 4 miliardi di fatturato, la serie A è riuscita a spendere 700 milioni in più così richiedendo ai rispettivi azionisti una ricapitalizzazione complessiva di 2,5 miliardi.
Il nodo che stringe al collo i club è rappresentato dal monte-stipendi: per tutti è il 50% del fatturato, in qualche caso sfora questo tetto, «sproporzionato - le parole di Marotta - rispetto agli introiti» rappresentati da botteghino, sponsor, diritti televisivi questi ultimi privati nella fase cruciale della pandemia dell'ultima rata (tra Sky,Dazn e diritti esteri) pari a circa 230 milioni. «È impensabile che i club, ciascuno per proprio conto, possano raggiungere la riduzione dei contratti. Noi dell'Inter, ad esempio, abbiamo chiuso l'attività agonistica il 20 agosto, dovevamo ritrovarci dopo pochi giorni e non abbiamo avuto nemmeno il tempo per affrontare l'argomento» la spiegazione elementare della necessità di fare cartello. «D'altro canto - e qui Marotta passa all'altro aspetto della questione che è politico - è inimmaginabile che lo stato intervenga con ristori per il calcio, nonostante sia un contribuente generoso, con versamenti pari a 1,2 miliardi all'anno. L'unico provvedimento che possiamo reclamare è quello di differire il pagamento delle tasse». Parole che hanno trovato il sostegno anche di Galliani: «Le aziende calcistiche hanno un calo drastico di fatturato tra assenza di pubblico, sponsor ed io temo anche per i diritti tv per il prossimo triennio. Il calcio deve essere trattato come altri settori in crisi, ha costi aumentati dall'effetto Covid-19». E il presidente della Lega Calcio rincara: «La Serie A perderà 600 milioni».
Per Marotta l'altra grande emergenza sono i tamponi: «Penso che deve essere centralizzata la gestione di tutta la Serie A così da non creare situazioni diverse tra club».
Infine le Nazionali: «Ho voluto segnalare invece la brutta figura fatta delle Asl che a Milano hanno concesso il via libera, a Roma e Firenze invece hanno bloccato i convocati. Di questi tempi correre rischi come in Croazia-Turchia per delle amichevoli, mi sembra eccessivo».
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