Se Max Allegri con la Juve (e si tratta già di un'impresa) e Carlo Ancelotti con il Real Madrid (e si tratta di una conferma) riescono a trascinare Milano dentro la fase finale della Champions league, allora vuol dire che il calcio italiano e la scuola milanista possono ancora insegnare qualcosa. Ciascuno con i propri modi, con i propri metodi di lavoro, con i diversi temperamenti fusi dalla passione per il mestiere che non li logora ma li esalta, rappresentano l'alfa e l'omega del perfetto allenatore. Tenero e coccolone Carletto che ama la buona cucina ed è matto all'idea di diventare, tra qualche mese, nonno, capace di farsi adorare dai suoi sodali che per lui attraverserebbero il cerchio di fuoco. Come accadde ai tempi con Maldini e Gattuso, con Sheva e lo stesso Pippo Inzaghi che adesso, nel suo tormentato debutto sulla panchina, lo elegge a modello unico e inarrivabile. Pronto alla battuta, con l'abitudine di risolvere a tavola qualche contenzioso con giornalisti o collaboratori, Carletto si esalta tutte le volte che lo sospingono sui carboni ardenti. Nelle curve dà il meglio. Nel 2003, anno di grazia della prima Champions vinta a Manchester al cospetto di Lippi e dei tanti juventini che lo avevano insultato a sangue, fino al duello con l'Inter di Cuper e Mancini, sempre in coppa Campioni, Ancelotti si è sempre difeso dalle tensioni preparando un buon piatto di tagliatelle che adesso è riuscito a esportare persino in Canada dove ha eletto domicilio con la sua seconda moglie, Barenna, biondona di grande fascino che gli prepara scherzi al telefono pur di strappargli un sorriso e fargli dimenticare gli improvvidi ultimatum di Florentino Perez.
Max Allegri è un livornese atipico, poco incline all'intemerata e allo scatto di umore, profeta inascoltato spesso della pacatezza («qui ci vuole la calma» ama ripetere negli spogliatoi di Vinovo e anche in conferenza-stampa), che sa essere scapestrato e imprevedibile solo quando si tratta di donne e di amori. Due soli sono quelli per sempre, i suoi figli Valentina e Giorgio, che tiene con cura lontani dai riflettori e dalla sua tumultuosa vita affettiva. Nella professione invece Max è un libro aperto, incapace di mentire e abituato dalla carriera, a Cagliari come a Torino, a risalire la corrente al pari di un salmone. «Sento cose che mi fanno ridere» il suo ultimo sfogo dopo aver raccolto la solita dose di dubbi e pregiudizi per il tipo di partita apparecchiata a Monaco, stesso clima scoperto a Vinovo quando arrivò per sostituire Conte e i suoi record. Max è figlio calcistico di Fabio Capello, ne detiene lo stesso pragmatismo e la capacità di modellare a nuovi ruoli calciatori e apprendisti campioni (vedi Tevez). Carletto nostro invece appartiene alla schiatta mai sconfessata dei sacchiani doc e anche per questo si completano e si stimano, scoprendo affinità elettive che sconfinano nel privato.
Sono entrambi legatissimi alle radici, Max ai bagni Fiume dell'Ardenza dove è possibile incrociarlo nei giorni di riposo, Carletto al buen ritir o di Tabiano al tavolo centrale della trattoria da Oscar, sulle colline reggiane. Nemmeno una semifinale di Champions potrà cambiarli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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