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La metamorfosi azzurra. Se l'Italia fa la Spagna e manda tutti in vetrina

Rivoluzionata nel gioco, sorpresa l'Europa. E a ogni partita c'è un protagonista diverso

La metamorfosi azzurra. Se l'Italia fa la Spagna e manda tutti in vetrina

La tentazione è diabolica. Vorremmo scriverlo e documentarlo forte e chiaro: la Spagna, adesso, siamo noi. Siamo noi che giochiamo come la Spagna di ieri l'altro che ha fatto scuola e dominato il palcoscenico collezionando trionfo dopo trionfo, il mondiale nel 2010 in Sud Africa e gli europei (il tris) nel 2012 in Ucraina. I paragoni sono complicati e per ora improponibili. Ma è l'idea del gioco che consente l'accostamento in vista della semifinale di martedì a Londra che è anche occasione di confronto per capire a che punto sia possibile spingersi lungo la strada che Mancini ha tracciato con il suo calcio coraggioso e offensivo. Intendiamoci: questa allenata da Luis Enrique non è la Spagna che tremare il mondo fece qualche anno prima grazie a quella costola catalana allevata e istruita grazie al tiki taka da Pep Guardiola. Non solo. Già nell'europeo del 2016, con Conte in panchina e un gruppo di ridotta cifra tecnica (in attacco la coppia Eder-Pellè tanto per rinfrescare la memoria), l'Italia riuscì a piegare la resistenza spagnola (gol di Chiellini e Pellè in semi-rovesciata elegante) a dimostrazione che organizzazione e temperamento possono colmare -in un torneo breve- le lacune più evidenti.

Questa è un'altra Spagna, senza più - ed è un record al contrario - un solo esponente della famosa schiatta Real Madrid, una sorta di puzzle proveniente da più club, assortita secondo i principi di calcio geometrico ma senza avere il palleggio e i dribbling di quell'altra che ci rifilò 4 pappine a Kiev nella finale persa dall'Italia di Prandelli. A ben riflettere, qualche analogia calcistica è possibile tracciare in casa nostra invece. Ad esempio Jorginho, per rigore tattico e capacità di fare scudo davanti alla difesa, ha qualcosa di Busquets mentre Verratti ci riporta indietro nel tempo alla sapienza di Xavi e Barella alle caratteristiche di Iniesta, elegante e sornione rispetto al sardo che invece fa delle imboscate e dei blitz il suo punto di forza. D'altro canto la famosa coppia centrale difensiva Sergio Ramos-Piquè può somigliare, in qualche tratto, oltre che nell'intesa consolidata, a quella azzurra Bonucci-Chiellini che ha messo i ceppi anche a Lukaku, fino a ieri terrore delle difese italiane ed europee? La risposta è sì con buona pace di chi considererà il paragone un infortunio. E d'altra parte, per chiudere il cerchio, e tornare al diabolico tema, anche la cooperativa del gol azzurro - prima Locatelli, poi Pessina, quindi Immobile, infine Chiesa e Barella e l'estroso Insigne, può richiamare alla memoria quel che accadde con la famosa Spagna che non ha mai schierato un bomber di razza? Nel 2012 c'erano Fabregas e Silva, quattro anni dopo Morata scortato da Nolito e lo stesso Silva.

Eppure non si lasciarono condizionare da questo limite.

Perché in quel calcio, come in questo realizzato da Mancini, è lo sbocco che procura il gol, o come direbbe Guardiola, «il nostro centravanti è lo spazio».

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