“Altri anni, un altro calcio, c’era un contatto diretto con i giocatori, c’era un ambiente umano, c’era il rapporto con i calciatori, sempre nel rispetto dei ruoli ovviamente. E poi avevo trent’anni, ero giovane”. Francesco Milo, 64 anni, napoletano verace dipendente in pensione del Comune di Napoli, dal 1986 al 1990 è stato addetto agli impianti sportivi per l’assessorato allo sport e alla cultura. Anni cruciali dietro le quinte del mitico Napoli di Maradona (in biancazzurro dal 1984 al 1991): due scudetti (1986-1987 e 1989-1990), una Coppa Uefa (1988-1989), una Coppa Italia (1986-1987) e una Supercoppa italiana (1990).
Il primo giorno al San Paolo che emozioni e che ricordi le lascia?
“1986, il direttore dello stadio Enrico Pennella mi assegnò al turno pomeridiano. Ebbi così la possibilità di vedere l’esordio del Napoli in Coppa Uefa, il 17 settembre, contro il Tolosa, vincemmo 1 a 0, gol di Andrea Carnevale. Un doppio turno sfortunato, fummo eliminati subito. Vedendo Maradona da bordo campo mi tremavano le gambe, non mi sembrava di trovarmi lì a guardarlo a pochi metri di distanza in una partita ufficiale. La segreteria dove ci appoggiavamo noi dipendenti distaccati presso lo stadio San Paolo si trovava a pochi metri dagli spogliatoi degli ospiti e dei biancazzurri. Non conoscevo nessuno, mi misi vicino alla scaletta d’accesso al campo. Mi piazzai alle spalle della porta difesa da Garella. Ricordo di quella sera il riscaldamento prima della partita dei calciatori napoletani in un piazzale sotto la curva B. Maradona palleggiava dopo lanci in aria di 5 metri e si attaccava il pallone al sinistro come se avesse la colla, che so, un elastico. In uno spazio grande come la mattonella di casa. I francesi lo guardarono incantati per diversi minuti, una cosa che sarebbe successa sempre in seguito a tutti gli avversari venuti a Napoli”.
Un episodio che le è rimasto particolarmente impresso?
“Ottavio Bianchi faceva fare gli allenamenti sul campo del San Paolo. Spesso ero di turno al pomeriggio, quindi quando ero libero dal lavoro li guardavo. Per dire, mi ricordo di Ciro Ferrara ragazzino che attaccava il suo motorino Piaggio al cancello della nostra direzione. Maradona arrivava spesso in ritardo, comunque era l’ultimo a presentarsi alla seduta. Un giorno un preparatore atletico, mi pare, si presenta con due ragazze allo stadio. Maradona si stacca un attimo dal gruppo per salutarle a bordo campo e quando rientra trova l’allenatore Ottavio Bianchi che gli dice ‘Signor Maradona, la prossima volta mi chieda il permesso prima di allontanarsi’. Lui tornò nel gruppo senza dire niente, era serio. Ma in quell’allenamento per sfogarsi tirò delle bordate in porta pazzesche!”.
Che tipo era Maradona nel backstage dello stadio?
“Era disponibile con tutti, ma non doveva sentirsi invaso nel suo spazio. Se qualcuno gli metteva una mano sulla spalla per una foto o un autografo era finita, se ne andava. Poi Napoli è una città carnale. Provavano a baciarlo sulle guance, uomini e donne. Non lo sopportava. C’era chi si arrampicava per scavalcare il cancello con l’accesso allo stadio per le auto. Tifose e tifosi che aspettavano Maradona sulla salita mentre usciva con la sua Mercedes nera e provavano ad aprirgli le portiere per una foto, un autografo, un saluto, un abbraccio. Una cosa incredibile! Diego era disponibile con tutti, ma non sopportava nessun tipo di arroganza da nessuno”.
Ha mai visto i familiari di Maradona?
“La figlia Dalma, Dalmita, aveva la stessa età di mio figlio Mario, spesso giocavano assieme in corridoio davanti agli spogliatoi, correvano felici avanti e indietro. La moglie di Diego, Claudia Villafane, alle volte allattava la seconda figlia Giannina (nata il 16 maggio 1989, ndr) nella nostra segreteria. Naturalmente uscivamo tutti dallo stanzone e restava lei sola con la bimba. Persone meravigliose, napoletani veri, autentici”.
Un rapporto sempre viscerale tra Diego e Napoli?
“Nel 1987 arrivò al San Paolo come addetto agli spogliatoi un nuovo lavoratore, Saverio Vignati. Quando Maradona scendeva negli spogliatoi, i due si scambiavano un’occhiata d’intesa con un sorriso ammiccante. Morivo dalla curiosità di conoscerne il motivo. Seppi poi che la moglie di Vignati lavorava come donna di servizio a casa di Maradona. Era come una seconda mamma per Diego, così lui la chiamava. Saverio mi diceva che la moglie gli preparava i frullati, ma il capitano non li gradiva molto. Preferiva decisamente la cucina napoletana! E la moglie di Saverio era anche una brava cuoca!”.
Quando ha parlato direttamente con Maradona?
“1988, avevamo già lo scudetto cucito sul petto. Diego parcheggiò la sua Mercedes in un posto non assegnato che ostruiva l’uscita di altre auto. Gli ho detto ‘Diego, scusa, la macchina sta parcheggiata male!'. Lui mi ha sorriso ironico e mi ha risposto ‘Tieni le chiavi e spostamela. Ma se me la danneggi, poi me la paghi eh!’ e io gli ho risposto che gliene avrei pagate due. Era una persona alla mano, si faceva dare del tu da tutti i dipendenti del San Paolo.”
La foto con lei quando è stata scattata? Lo ricorda? “Non potrei mai dimenticarlo! Era venerdì 7 novembre 1986, ultimo allenamento della settimana. Quella domenica, il 9 novembre, il Napoli avrebbe espugnato il Comunale di Torino, 3 a 1 e un bel pezzo di scudetto già cucito sulla maglia. Comunque quel venerdì 7 novembre tutti i giocatori uscirono dallo spogliatoio con l’abito sociale, in giacca, camicia e cravatta. Diego rifiutò di indossarle e uscì in tuta. Mentre facevamo la foto gli ho detto ‘Noi napoletani non la sopportiamo proprio la Juventus!’. Lui mi guarda e mi sorride alla sua maniera e mi risponde ‘A chi lo dici!’”.
Ultimo ad arrivare, ma anche ultimo a lasciare il campo d’allenamento. È così?
“Diego dopo gli allenamenti rimaneva con i due portieri perché scommetteva con loro una bevuta, cose così. Tirava le punizioni dal limite, dalla sua zolla, verso il vertice sinistro dell’area grande. In barriera si mettevano il magazziniere Starace, il massaggiatore Carmando e magari qualche altro giocatore che non era ancora andato via. Tirava cinque calci di punizione, cinque volte metteva la palla all’incrocio dei pali. Toglieva la ragnatela, come si dice. In porta c’erano Di Fusco certamente e poi mi ricordo Giuliano Giuliani, che non capivano come riuscire a prendere queste traiettorie. Maradona si divertiva un sacco e anche tutti noi assieme a lui!”.
Gli piaceva proprio giocare a calcio e divertirsi assieme agli altri...
“Proprio così. Quando pioveva gli piaceva andare in scivolata, usciva dal campo coperto di fango (i tifosi ricorderanno l’esultanza nel nubifragio di Marassi dopo il gol che decise Sampdoria-Napoli del 17 gennaio 1988, ndr). E poi era sempre al centro dell’azione, capiva il movimento del pallone. Sfotteva i compagni e si lasciava sfottere. Era napoletano, l’ho già detto. Peppe Bruscolotti, Salvatore Bagni e Ferdinando De Napoli erano i suoi amici più stretti. Poi Diego era davvero affezionato a Ciro Muro, calciatore di San Pietro a Patierno (quartiere della periferia occidentale di Napoli, ndr). Gli diceva sempre che se non ci fosse stato lui, il regista titolare di quel Napoli si sarebbe chiamato Ciro Muro”.
Cosa prova oggi che Maradona non c’è più?
“Sono stato fortunato, ho avuto la
possibilità di vedere da vicino un Napoli strepitoso. Per questo dico che Maradona per me non è morto. Fa talmente parte della mia vita, del mio essere napoletano, che per me è come se non fosse morto. Maradona è più vivo che mai”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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