Il miracolo dell'Islanda (che miracolo non è)

Ridurre l'impresa della nazionale islandese - che ha costretto sul pari l'Argentina - a un miracolo sarebbe un errore. Dietro ai successi dell'Islanda c'è un lavoro di programmazione iniziato negli anni 2000. Che ora sta dando i suoi frutti

Il miracolo dell'Islanda (che miracolo non è)

"L'amichevole con Haiti servirà a riscaldarci in vista della prima partita del Mondiale. Jorge Sampaoli, c.t. dell'Argentina, nella frase con cui il 29 maggio aveva descritto l'ultimo impegno prima dell'inizio della Coppa del Mondo, non l'aveva neppure citata, sottovalutandola. Di chi si tratta? Dell'Islanda, che a sorpresa - almeno fino a un certo punto - ha fermato Messi e compagni sull'1-1. Un risultato che pochi si sarebbero aspettati. Ma quei pochi che ci credevano, lo facevano con cognizione di causa.

Sì, perché parlare di miracolo "vichingo" sarebbe ingeneroso nei confronti di una squadra, un popolo e soprattutto un governo, quello islandese, che all'inizio degli 2000 ha intuito le grandi potenzialità del calcio. Non solo strumento per acquisire una notorietà internazionale (cosa puntualmente avvenuta al punto che ad oggi l'Islanda è una delle mete più battute del turismo europeo), ma soprattutto come mezzo per risolvere le piaghe che funestavano la gioventù islandese: tabagismo e alcolismo. Grazie a una politica di investimenti sugli impianti sportivi e sulla formazione degli allenatori, nel giro di pochi anni questo Paese di soli 330.000 abitanti - 50 mila in meno di una città come Bologna, tanto per capirci - ha saputo cogliere i due proverbiali piccioni con una fava, rilanciando un movimento che galleggiava oltre la posizione numero 100 del ranking mondiale fino all'attuale 21esimo posto. In mezzo, una serie di progetti che hanno dotato il territorio islandese - grande un terzo dell'Italia - di impianti sportivi a norma, sia all'aperto che indoor, date le temperature polari che si registrano in Islanda per 8 mesi all'anno.

In breve tempo, la piccola Repubblica nord-europea si è imposta all'attenzione dell'Europa e del mondo grazie agli ottimi risultati in campo calcistico. 2011, qualificazione agli Europei Under 21; 2016, qualificazione agli Europei con passaggio del turno ed eliminazione ai quarti di finale per mano della Francia dopo avere eliminato agli ottavi l'Inghilterra; 2018, qualificazione alla Coppa del Mondo e pareggio al debutto contro l'Argentina, nazionale che in passato ha vinto due Mondiali e collezionato altrettante finali. Dal 2016, l'Islanda è diventata la squadra-simpatia per eccellenza. La Gazzetta dello Sport l'ha adottata per Russia 2018, mentre capita sempre più spesso di vedere per strada ragazzi e ragazze con l'inconfondibile maglietta blu a strisce rosse e bianche al posto della banale t-shirt del Real Madrid, piuttosto che del Barcellona o della Juventus. Merito anche di alcuni atti di folklore che hanno investito l'Islanda di un'ondata di attenzione e ammirazione, su tutti il "Geyser Sound", un originale battito di mani in crescendo animato contemporaneamente allo stadio dai tifosi e dai giocatori islandesi. Come a dar vita a un corpo unico.

Spontaneità, tradizione, lavoro e programmazione.

Questi gli ingredienti della ricetta con cui l'Islanda è passata dal perdere 14-2 con la Danimarca nel 1967 a pareggiare 1-1 contro l'Argentina. L'ultima tappa del percorso di trasformazione da accozzaglia di Ridolini a squadra vera, di Vichinghi. Con cui tutte le grandi nazionali dovranno imparare a convivere. E soprattutto combattere.

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