«Giocheremo con le vittime nel cuore, non potremo avere la gioia delle grandi partite». È il messaggio di Josè Mourinho alla vigilia della finale di Europa League che si assegna stasera alla Friends Arena di Stoccolma. Una finale di lusso con Manchester United e Ajax che scendono in campo con una bacheca di 19 titoli internazionali complessivi, con gli olandesi in vantaggio 11-8. Quanto accaduto a Manchester lunedì sera ha reso più tristi le ore precedenti al match: nell'allenamento di rifinitura il gruppo di Mourinho ha osservato un minuto di raccoglimento, mentre il portoghese ha annullato la conferenza stampa pre gara. Si gioca a Stoccolma, ad aprile sede di un altro attacco terroristico. L'Uefa sottolinea che «non ci sono informazioni specifiche da parte dei servizi di intelligence circa rischi di attentati, ma sono state implementate misure di sicurezza supplementari».
Gli inglesi non hanno mai vinto l'ex Coppa Uefa, gli olandesi tornano a giocare una finale europea dopo 21 anni, dopo la Champions persa ai rigori contro la Juve di Lippi. Appartengono a mondi lontanissimi Ajax e United, club però accomunati dal tentativo di rinfrescare un blasone appannatosi nel corso degli anni. Ognuno tenta di farlo a proprio modo: i Red Devils investendo massicce quantità di denaro nel mercato (185 i milioni di euro sborsati in stagione) e accumulando campioni; il club di Amsterdam puntando sui giovani, siano essi prodotti del vivaio (su tutti l'ottimo Klaassen) o frutto di un mirato scouting (vedi Dolberg e Onana, prelevati giovanissimi da Silkeborg e Barcellona, ma anche il colombiano Sanchez, vincitore della Libertadores 2016).
Sotto il profilo economico l'Ajax la sua coppa l'ha già vinta, arrivando in finale con una squadra costruita realizzando un attivo di bilancio di 45 milioni di euro, e i cui acquisti sono costati meno di quanto incassato (49 milioni) da Raiola nel trasferimento che ha portato Pogba dalla Juve al Manchester United. Un'Ajax che, nella semifinale di andata contro il Lione, ha mandato in campo il secondo undici titolare più giovane (22 anni e 137 giorni) schierato quest'anno in EL, nel quale spicca il 19enne Dolberg, 6 reti nel torneo, 22 totali in stagione. Senza Ibrahimovic, che proprio all'Ajax spiccò il volo per la sua eccezionale carriera, attenzione al baby prodigio inglese Rashford, pari età di Dolberg, lanciato lo scorso anno da Van Gaal e decisivo per i Red Devils sia ai quarti contro l'Anderlecht che in semifinale con il Celta Vigo.
Più solido il Manchester (8 reti incassate nel torneo, non perde dalla fase a gironi), più spettacolare e sbarazzino l'Ajax (24 gol segnati, ma anche 7 reti subite nelle ultime 3 gare), le due squadre rispecchiano i rispettivi allenatori. Da un lato la freschezza di Bosz, artigiano di provincia che ha sempre lasciato ottimi ricordi ma nessun trofeo nelle squadre da lui allenate; dall'altra la grande esperienza di Mourinho. Tornato nell'Europa minore tredici anni dopo la sua prima e unica apparizione nella Coppa Uefa 2002/03 (eccezion fatta per la panchina nel 2000 in Benfica-Halmstad come sostituto di Heynckes), vinta con il Porto e inizio della sua straordinaria parabola professionale. Un trofeo in passato snobbato dal portoghese.
«Vincere la coppa sarebbe una grande delusione - disse nel 2013 quando guidava il Chelsea - non è la nostra competizione». Ma, qualche settimana fa, l'Europa League che garantisce un posto in Champions a chi non l'ha ottenuta in campionato (lo United è finito 6°), è diventata improvvisamente «più importante della Premier».
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