«Ho perso un fratello». Bernie Ecclestone piange così sir Max Mosley, andatosene ieri a 81 anni. Mosley nel mondo delle corse ha fatto davvero di tutto e ha certamente contribuito a cambiare faccia alla Formula 1 insieme al suo vecchio amico Bernie. Sir Max era un uomo dai due volti. Sapeva essere cortese, educato e gentile, ma anche diventare autoritario e intransigente. Senza contare lo scandalo a luci rosse che lo ha fatto crollare, smascherando i suoi vizietti (provocato da qualcuno che gli voleva certamente del male). Mosley non veniva da una famiglia banale. Suo padre era Sir Oswald Mosley, ex ministro laburista e conservatore, fondatore e leader della British Union of Fascists. Sua madre era Diana Mitford, scrittrice e giornalista anche lei sostenitrice delle medesime dottrine (le loro nozze vennero tenute segretamente nella casa del gerarca nazista Goebbels, dove anche Hitler partecipò quale unico ospite d'onore). Tanto per capire l'ambientino in cui è cresciuto.
Max si laureò in fisica nel 1961 al Christ Church College di Oxford. Successivamente studiò diritto alla Gray's Inn di Londra, ottenendo nel 1964 la qualifica di avvocato. Una persona colta e impegnata con una grande passione per i motori che negli anni '60 lo portò a intraprendere una breve carriera di pilota, ottenendo modesti risultati in Formula 2 alla guida di una Brabham della scuderia di Frank Williams. Era in pista a Hockenheim nel 1968 nella gara in cui perse la vita Jim Clark. Nel 1969 a Bicester, nell'Oxfordshire fondò però una scuderia insieme a Alan Rees, Graham Coaker e Robin Herd. Dalle loro iniziali fu ricavato il nome March. Un nome che ha scritto pagine importanti nella storia dei motori in Formula 1, ma anche alla 500 miglia di Indianapolis.
Insieme a Ecclestone, Frank Williams, Ken Tyrrell e altri rappresentanti delle principali squadre, nel 1974 ha poi fondato la FOCA (Formula One Constructors Association), l'associazione che rappresenta gli interessi commerciali delle scuderie negli incontri con la FISA (poi diventata Fia). Una scalata al potere culminata negli anni Novanta quando fu eletto presidente della Fia dopo Balestre e prima di Todt, regnando dal 1993 al 2009. Gli va riconosciuto di aver lavorando incessantemente per la sicurezza della Formula 1 negli anni tragici della morte di Ayrton Senna. E anche di aver lavorato perché la Fia espandesse il suo raggio d'azione sulla sicurezza stradale introducendo l'obbligo dei crash testa anche nelle auto di serie. A fine carriera l'accanimento, quasi personale, contro Briatore, lascerà però qualche macchia sul suo modo di comportarsi.
Certo la macchia più grande resta lo scandalo a luci rosse scoppiato quando nel 2008 il quotidiano inglese News of the World pubblicò delle fotografie in cui prendeva parte a festini sadomaso, oltretutto travestito da ufficiale nazista. Uno scandalo che lo fece deragliare senza però dimenticare quello che è stato per la Formula 1.
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