I vecchi amici del calcio non si scordano mai. E a volte ritornano. Ci voleva. Il calcio delle coppe ha fatto giustizia ed ora rieccoli pronti per una finale. Quante volte si è sentito volare, fra sussurri e grida, che di Mourinho c'era rimasto solo il nome e di Carlo Ancelotti una fama lontana. Insomma li avevano già dati per bolliti. E tutti ad attendere i nuovi profeti: quelli del calcio italiano specialisti nello sbarellare davanti ai primi intoppi, quelli del calcio europeo che sbandierano calcio spettacolo dimenticando il dizionario del calcio essenziale. Ancelotti e Mou, pensavano il colto e l'inclita del pallone, avevano bacheche di ottimi ricordi e trofei, vinto e stravinto: potevano considerarsi arrivati. Ma questo è un discorso per routiniers, non per uno SpecialOne e, diciamo pure, per uno specialMan. Solo chi cade può risalire. Ma è più vero che solo chi sale può cadere. Lo Specialone ha provato tutti questi effetti speciali e forse l'amata Inghilterra lo ha impacchettato e spedito. In Italia gli hanno appena fatto sapere che non si guarda mai allo specchio, perchè quando le cose vanno male le colpe sono sempre altrui. Non è una novità: sappiamo che, se Ancelotti è il profeta del calcio democratico, Mou è il regista del calcio cinematografico. Soprattutto conoscitori di uomini. Eppure nel saliscendi di questi anni hanno mantenuto appeal e credibilità: perdi, vinci, riperdi e rivinci, ma vinci sempre in qualche modo.
Ancelotti ha messo l'intelligenza a disposizione del calcio, Mou il calcio a disposizione della sua intelligenza. Ancelotti interpreta la versione più moderna e aggiornata di un Nereo Rocco che, sul rapporto con gli uomini, costruì la sua forza e le vittorie. Mourinho, invece, è stato Lucifero per il calcio italiano. Non tanto inteso come Diavolo, ma nell'accezione del significato antico di questa parola: portatore di luce. Lo ha fatto con l'Inter riportandola a quella vittoria in Champions, prima ancora che al Triplete. Si è ripetuto con la Roma, partendo da una sorta di sporca dozzina messa a disposizione dalla dirigenza. Dodici giocatori da prima squadra, non di più. Il resto tra speranze e qualche bidonata. Mou se n'è presto accorto, si è rimboccato le maniche, ha usato ogni grammo della sua arte per uscire da quella sorta di sabbie mobili che rappresenta il calcio di Roma. Roma è città metropolitana ma terribilmente provinciale nel pallone. Gioca nel giardino di casa e fatica ad uscirne.
Mourinho ha trovato le chiavi del cancello ed ora l'ha accompagnata fuori: di nuovo ad una finale. Sono cinque anni che a lui manca una finale europea. Ma se Ancelotti è stato realistico sotto diversi punti di vista, Mou è stato miracolistico. Non miracolato.
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