Nazionali a gamba tesa: non è coraggio, è un errore

È ufficiale: a Ponte Lambro, alta Lombardia, c'è un altro mostro a piede libero. Si chiama Carlo Tavecchio, è un pensionato di 71 anni, da 30 frequenta e lavora nel mondo dei dilettanti accumulando amicizie e qualche buon risultato, ma di recente ha avuto l'infelice idea di candidarsi alla poltrona di capo del calcio italiano dopo le dimissioni a sorpresa di Giancarlo Abete. Lo ha fatto contando sui voti a disposizione conquistati grazie a uno statuto cialtrone e qualche promessa inconfessabile (più soldi alla Lega di serie B, un paio di poltrone da vice-presidente). È anche un ingenuo matricolato: ha immaginato di riuscire nella scalata avendo contro tutti i media e i salotti buoni del Belpaese che lo hanno subito considerato al pari di «un volgare invasore». Alla prima occasione pubblica poi ha mostrato di non saper maneggiare il delicatissimo argomento del razzismo. Strepitoso il risultato ottenuto in questa estate umidissima: è riuscito, primo e forse unico, a mettere d'accordo nella stroncatura Diego Della Valle e Andrea Agnelli che al volo l'ha definito «inadeguato». I punti essenziali del suo programma (Cabrini possibile Ct per via di uno stipendio basso e «taglio» di qualche dirigente molto esperto) non sono granché perciò non può e non deve scandalizzare l'ostilità raccolta. Semmai è la ferocia e la concentrazione degli attacchi a provocare più di un sospetto. Alla fine va tutto bene tranne ciò che sta accadendo nelle ultime ore e cioè l'intervento, a piedi uniti, di calciatori, esponenti di primo piano della Nazionale, la squadra della federazione, nella contesa elettorale.

Non è mai accaduto nella storia del calcio italiano e non certo perché i Mazzola e Rivera avessero meno coraggio di De Rossi e Chiellini. Ma solo perché si tratta di una pratica molto discutibile. Avete mai sentito Buffon o Baresi o Zanetti mettere becco nella scelta dei presidenti di Juve, Milan e Inter?

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