Torino Trenta gradi o quasi al sole di Torino, ieri pomeriggio. Trentuno gli scudetti festeggiati dal popolo juventino: numero esibito ovunque, a cominciare dall'enorme triangolo tricolore che campeggia da qualche giorno all'ingresso della tribuna d'onore stagliandosi chiaramente anche a un centinaio di metri di distanza. Il 29 non compare mai: la numerazione del cuore non lo contempla, Andrea Agnelli lo sa e, insieme alla Nike, ha anche compiuto il bel gesto di togliere dalla maglia che verrà la scritta 30 sul campo. Dopo di che, ognuno la pensi come vuole: il solito pasticcio all'italiana è stato servito e sarà perpetuato negli anni a venire.
Quel che conta, però, è che la Juventus sia giunta ancora una volta alla meta, festeggiando davanti ai propri tifosi in un sabato pomeriggio senza tensioni. Dopo gli scempi di metà settimana a Bergamo - con Conte costretto a convincere i suoi tifosi a smetterla di tirare sassi e oggetti vari - non c'era motivo per non godersi l'atmosfera. Lo Stadium peraltro si presta ormai da due stagioni a celebrazioni degne di nota e anche la scenografia di ieri meritava: nella tribuna di fronte alle panchine, all'ingresso delle due formazioni in campo, migliaia di bandierine tricolori hanno fatto da contorno alla scritta in nero 'Forza Juve', mentre la curva Sud è stata divisa anch'essa con i colori della bandiera italiana nell'anello superiore, lasciando il bianconero alla parte bassa del settore. Clima caldo, caldissimo. Con Arturo Vidal premiato prima del via quale miglior giocatore dell'anno, con Pavel Nedved invitato sotto la curva come e più di quando portava la zazzera bionda in giro per il campo, con la decorazione campioni d'Italia - 31 presente anche sulle torte particolarmente gradite nei vari ristoranti dello stadio, con migliaia di persone pronte a cantare l'inno bianconero a squarciagola e i giocatori - tutti, non solo gli undici che avrebbero poi disputato la partita - accompagnati in campo dai propri figli.
E se Ibarbo prova a rovinare la festa segnando un gran gol dopo una fuga da sessanta metri, certo non ci riesce: è troppa la voglia di festeggiare e di cantare, anche se qualche brusio di disapprovazione fa capolino quando Giovinco calcia malamente un angolo. Tra i tanti cori pro, c'è anche tempo e modo per dire chiaramente che Ibrahimovic non lo si vorrebbe di nuovo da queste parti: la Sud non ha dubbi, il resto dello stadio non le va dietro e comunque alla fine decideranno i conti, se non Conte. Il quale, osannato con il coro di quando era capitano, vive il match con il solito trasporto, si arrabbia quando Vidal non trova la porta, allarga le braccia se Bonucci sbaglia un lancio e via di questo passo. Dettagli, in una giornata come quella di ieri in cui - dopo essersi esercitati nella ola per buona parte della ripresa - il clou è quanto avviene una volta superato il novantesimo: la pedana montata al centro del campo con la musica sparata a palla che copre anche qualche coro pro Del Piero (assente), i venti bambini con indosso ognuno una maglia delle squadre di serie A e poi - finalmente - anche John Elkann in campo e i campioni d'Italia chiamati uno per uno. Chiellini per cominciare, poi Caceres, Pogba e via via tutti gli altri (compreso Anelka, che allo Stadium non ha disputato nemmeno un minuto) in ordine di numero crescente: ultimo, noblesse oblige, capitan Gianluigi Buffon, erede in tutto e per tutto del numero dieci che si sarà goduto la premiazione dal divano di casa.
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