Da corridore era animato dal "sacro fuoco", ora alla soglia dei 72 anni Felice Gimondi ha a che fare da qualche giorno con il fuoco di Sant'Antonio. «E non è la stessa cosa - dice tutt'altro che divertito il grande campione bergamasco, vincitore di un Tour, tre Giri e una Vuelta -. È davvero molto fastidioso, non pensavo fosse così, ma almeno in parte, oltre alle medicine e le cure di mia moglie, c'è Vincenzo (Nibali, ndr) ad alleviare i miei pomeriggi. Il ragazzo sta andando molto bene, ha temperamento e forza: è un tipo tosto. Ma attenzione, non è un miracolo: Vincenzo è il risultato di anni e anni di grande lavoro, che l'ha portato a vincere prima il Giro di Spagna, poi il Giro d'Italia e ora, dopo un terzo posto al Tour, a lottare per arrivare primo a Parigi».
Parla con calma Felice, misura le parole. Spiega il miracolo di questo ragazzo d'Italia che si sta facendo apprezzare dai francesi e dal mondo. «Nell'ultima tappa ha fatto una grandissima cosa. Certo, il ritiro di Contador da una parte semplifica il suo lavoro verso Parigi, ma potrebbero complicare il suo cammino verso la "ville lumiere" i tanti che ora vedono davanti a se l'occasione per coalizzarsi e provare a far saltare il banco. Quindi, calma e coraggio. Siamo messi bene, ma il difficile inizia solo adesso. La vittoria inglese sul traguardo di Sheffield è stata bella, il terzo posto del pavé ha un valore di gran lunga superiore, la vittoria dell'altro giorno ha messo Vincenzo in rampa di lancio».
Ma vuole dire che era meglio avere in corsa Contador?
«Per Vincenzo sarebbe stato meglio: loro due annichilivano la corsa. Ora le squadre rivali di Vincenzo sanno che è solo contro tutti. A meno che...».
A meno che?...
«Che cammin facendo Vicenzo non trovi alleanze importanti».
Le piace questo Tour?
«Moltissimo».
C'è qualcosa che non le piace?
«Mi addolora il gap che separa il nostro Giro dal Tour. Vedo una Grande Boucle che ha dietro un intero Paese e la corsa rosa abbandonata a se stessa. Il Tour è organizzato dall'Aso, quindi un realtà privata che gode però di attenzione pubblica. Il Giro, organizzato da Rcs Sport, sembra solo un fatto privato. La politica non ne comprende a pieno le opportunità che offre: miopia assoluta. In tre giorni in Inghilterra hanno richiamato più di sette milioni di spettatori lungo le strade. Londra chiusa al traffico e arrivo posto all'ombra di Buckingham Palace. Il via da Leeds è stato dato dai principi William ed Harry, con Kate Middleton, la duchessa di Cambridge, che ha avuto anche l'onore di tagliare il nastro inaugurale. Qualche giorno fa, nella tappa che si concludeva a Reims, terra dello champagne e che ha ripercorso tratti della linea del fronte della Prima Guerra Mondiale, non a caso è salito sulla macchina dell'organizzazione il presidente Hollande. Da noi la politica pensa solo al calcio. O alla F1».
Ma è vero che lei da ambasciatore dello sport dell'Expo sta lavorando al progetto di una gran-depart dall'Italia? Insomma, vuole portare il Tour sulle nostre strade?
«È verissimo. Mi sarebbe piaciuto portare il Tour a Bergamo già nel 2015, per i 50 anni della mia maglia gialla - spiega il campione di Sedrina -.
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