Tony Damascelli
Nell'epoca del passaggio, anzi dello scarico arretrato, cade il settantesimo anniversario di Niccolai Comunardo, difensore scudettato del Cagliari e della nazionale. A volte certe congiunture spiegano il fenomeno. Nel caso specifico Niccolai di ruolo difensore e con il nome di battesimo che ribadiva i comunardi difensori di Parigi nel 1871, Niccolai, dunque, è passato alla cronaca e alla storia del football come il migliore autogoleador del nostro campionato. Trattasi di una bufala, c'è chi ha fatto meglio, anzi peggio, di lui, tipo Riccardo Ferri ma quelli di Comunardo erano gesti di artista, erano svolazzi nell'aria di qualunque stagione.
Accadde, ad esempio, il pomeriggio del quindici di marzo del Settanta, al Comunale di Torino. La Juventus e il Cagliari giocarono una partita che oggi provocherebbe interrogazioni parlamentari, bavagli di giornalisti faziosi per non dire altro, inchieste della magistratura e pedinamenti dell'arbitro che, allora, fu Concetto Lo Bello. Ma a parte gli screzi, alla mezzora del primo tempo il tedesco di Germania Helmut Haller pescò sulla fascia laterale destra Beppe Furino il quale con un calcio in torsione, un po' forzata, fece partire il cross indirizzato alla testa di Zigoni. La traiettoria venne intercettata dalla criniera di Niccolai che deviò il pallone con precisione alle spalle di Ricky Albertosi già in uscita con le mani pronte a ricevere il cross ma ormai vispa Teresa. «Bel gol, no?», disse Manlio Scopigno costretto alla tribuna d'onore.
Lo stesso Scopigno dovette ingoiare oltre al tabacco di mille sigarette anche altre prodezze del ragazzo toscano di Uzzano che contro il Bologna riuscì anche a dribblare il di cui sopra Albertosi.
E per anni è andata in circuito la storiella, sempre con Scopigno attore, secondo la quale al fischio di inizio di Italia-Svezia, mondiale messicano del '70, Scopigno si lasciò andare a: «Tutto mi sarei aspettato dalla vita ma non di vedere Niccolai a colori e via satellite». Il colore era in fase sperimentale con il sistema Pal, il satellite trasmetteva dal Messico a ore notturne ma, in verità, Scopigno, quando scorse Niccolai schierato con gli altri azzurri, si alzò dalla sedia e borbottando «non si può» spense il televisore.
Totale: meglio andare a letto piuttosto che rischiare di finire stesi da un'altra farsa. Niccolai si infortunò subito e il suo sogno mondiale si fermò prima di prendere sostanza.
Al tempo lo chiamavano agonia, non certo per i patemi d'animo procurati dalle sue disgrazie in area di rigore ma per il fisico più che asciutto, un fantasma, niente palestra, niente muscoli da culturista ma lo stretto necessario per vincere lo scudetto. Trascorso mezzo secolo, chi non gli fa gli auguri fa autogol.