Quella di stasera non è la partita di andata di un play off per la qualificazione al mondiale. Quella di stasera è già una partita del mondiale. Lo devono sapere, lo devono capire gli azzurri di Ventura. Lo deve capire lo stesso allenatore che è un debuttante a questo tipo di sfide. Lo devono capire gli uomini del Palazzo che, come quello russo del '17, rischia di cadere. La partita di Stoccolma vale tutto o quasi tutto. Vale la faccia, la dignità di un Paese che si parla addosso ogni minuto, che è spaccato in fazioni e correnti, politiche e calcistiche, di un'Italia che, come scriveva Giovanni Arpino, è formata da «cinquantasette milioni di italiani soli ciascuno è convinto di essere qualcuno e tutti insieme siamo nessuno».
Non è catastrofismo ma l'istantanea reale, quasi mortificante. Vale nel calcio, improvvisamente bandiera dell'unità. Eppure, anche stavolta, c'è chi va contro, chi spera nei pomodori e nelle torte in faccia, chi vuole la sconfitta perché desidera la caduta di tutto il resto. Stasera l'Italia si gioca davvero un patrimonio che sta nei denari ma anche nella nostra immagine internazionale. Quando nel '58 fummo eliminati dall'Irlanda del Nord, Gianni Brera arrivò a scrivere: «Siamo tornati all'anno zero. Forse non riusciremo a cavarcene fuori. Il calcio diverrà mero spettacolo per folle di bocca buona. Alle folle bisogna pur dare circensi. Molti ricchi in Italia provvederanno. Funzioni educative, il calcio ne ha ben poche. E quanto a fonte di prestigio, meglio non parlarne. Dal calcio sono venute tante vergogne al nostro Paese nel dopoguerra, che un legislatore illuminato farebbe saggia cosa a sopprimerlo».
Ovviamente
non è accaduto quello che Brera suggerì. Ma ci risiamo, Stoccolma non può essere l'anno zero, anzi, dalla sfida di questa sera la nazionale azzurra può ricominciare una storia smarrita. E' un auguro più che un pronostico.
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