nostro inviato a Iserlohn
Gli abitanti di Iserlohn l'avevano detto subito all'Italia e agli italiani: «Il sole dovete portarvelo dentro, non pensate di trovarlo qui». Ieri sul ritiro degli azzurri solito cielo grigio e pioggia fastidiosa. Non una novità, ma fino a giovedì le nuvole minacciose erano solo una cornice imperfetta, la pioggia una compagna scherzosa. Ora non è più così. La Spagna ha oscurato il sole dentro agli azzurri. È stata una serataccia che entra nella galleria delle pagine nere della storia Nazionale. Il giorno dopo il nervosismo è latente figlio di una frustrazione nel prendere atto che la distanza dalle Furie rosse è siderale. Dopo aver pensato di non essere lontani, anzi di essere vicini.
Anche forse travolti dalla retorica calcistica di Luciano Spalletti, si è finito per credere che il progetto triennale fosse ormai realizzato in appena sei mesi. Le convocazioni del ct non hanno mai offerto la possibilità di un'altra chiave di lettura. Se si fosse puntato sull'Europeo, le scelte sarebbero state diverse. L'obiettivo è invece tornare al Mondiale, quello americano, dopo dodici anni. Uscire lunedì dall'Europeo sarebbe un fallimento che aprirebbe scenari rivoluzionari in Federazione, ma guardare dal divano la terza coppa del mondo di fila, ci farebbe retrocedere nella serie C del calcio internazionale. La mission è il 2026.
Questo non giustifica la notte di Gelsenkirchen. Era dall'Europeo del 1980 che l'Italia non finiva una partita di una manifestazione importante senza fare un tiro in porta. Spalletti ha abbozzato un mea culpa parlando della condizione fisica, di una Spagna che ha dominato per freschezza. Le scelte iniziali, i cambi non hanno convinto. Ma sarebbe come guardare il dito e non vedere la luna. L'impressione è che le gambe siano venute meno in fretta, quando la rumba spagnola ha destabilizzato subito la testa degli azzurri.
La differenza è nella tecnica, nell'abitudine a un ritmo accompagnato alla perfezione di esecuzione che le nostre squadre di club, salvo rare eccezioni, non sanno tenere e non sono nemmeno abituate ad affrontare con continuità. La Spagna è stata più veloce anche a fare la doccia, il pullman dell'Italia è andato via mezz'ora dopo dallo stadio...
E poi le individualità. Non abbiamo campioni, tolti Donnarumma e Barella. A questo punto serve un'idea e qui si entra in uno scontro filosofico. Si va a intaccare il dna. Spalletti ha detto: «Io devo riuscire a far capire l'importanza di fare la partita ad armi pari, perché tanto se ti metti lì alla lunga la perdi e poi devi ribaltare il concetto di squadra. Devi fare una squadra di corsa che non palleggia ma questo non è un calcio che mi piace fare, mi rimane difficile anche insegnarlo, per fare quello sono la persona meno adatta». Il ct predica calcio, ma rischia di finire vittima di se stesso. Lui ha voluto specchiarsi nella Spagna. È una scelta, non presunzione. Ci sono altri allenatori che vanno nella direzione opposta, quelli che di fronte a una riconosciuta inferiorità a priori preferiscono erigere muri e la palla lunga e pedalare. È l'infinita diatriba tra giochisti e risultatisti.
Ma in una crisi generazionale persistente trovare la via d'uscita significa garantirsi un futuro. Il presente è la Croazia dopo che la lezione della Spagna è entrata nella testa della Nazionale. E questo è l'effetto collaterale peggiore.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.