Tony Damascelli
Ventuno anni di differenza. Ma non soltanto quelli. Tra Buffon e Donnarumma c'è altro, molto altro. C'è l'assillo di essere considerati e di considerarsi numeri 1, c'è l'aria tossica di valutazioni mercantili anche volgari, c'è il peso di vestire una maglia di un club che ha fatto la storia del calcio italiano e internazionale, c'è, infine, il campo che non concede, ormai, perdoni facili.
Pensiamo, per un attimo soltanto, che cosa diremmo e scriveremo oggi se quei tre errori (tre, anche sull'autogol di Kalinic, Donnarumma ha la catena corta, in quell'area del portiere ogni pallone dovrebbe essere il suo ma lui resta con i piedi per terra e il tentativo ultimo risulta goffo, oltre che inutile), se quelle tre papere, dicevo, le avesse commesse Buffon: un pensionato ormai da compatire, un quarantenne che deve assolutamente ritirarsi, un tramonto patetico. Invece, con Donnarumma, avanziamo l'alibi, è giovane, ha diciannove anni, è inesperto, acerbo, psicologicamente fragile. Ma il portiere del Milan conta già 123 presenze, gode di un contratto sontuoso, ha ricevuto onori da ogni dove, dunque ha tutto per affermare la propria personalità, il proprio talento come seppe fare, alla stessa età, Gianni Rivera, per restare nell'area grandiosa milanista.
Buffon ha commesso, pure lui, errori di gioventù ma episodici; sinceramente, questa, per Donnarumma, è stata una stagione da non raccontare agli amici e parenti e non per le gaffes nella finale di coppa Italia. Altre parate storte in Euroleague e in campionato portano, obbligatoriamente, a una rilettura del fenomeno che era e che può ancora essere.
Ora la domanda sorge spontanea: la nazionale? Possiamo fidarci di Donnarumma a prescindere o puntare su un altro portiere, Perin, Meret, Sirigu? Ha, il numero 1 del Milan, tutte le carte in regola per ricominciare subito da titolare oppure dovrà mangiare pane nero e duro, lasciando a casa le brioches di Raiola?
Servirebbe una presa di coscienza sua, i diciannove anni di questa beata gioventù, oggi, non sono i diciannove anni della generazione dell'altro secolo. E non sarebbe nemmeno giusto e intelligente gettare via il bambino insieme all'acqua sporca. Donnarumma ha il tempo per non sbagliare uscita, non in campo.
Il calcio italiano ha bisogno del suo talento, con la maglia del Milan o con quella di un altro club, l'importante è che lui esca dall'equivoco che da solo ha costruito, con la partecipazione di chi non lo aiuta a crescere, anche tecnicamente, correggendo errori elementari di impostazione (gambe divaricate, sempre e una certa presunzione nel gioco del pallone con i piedi). Il calcio contemporaneo non ha pazienza. Il Milan e la nazionale, ancora di meno.
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