Adesso, proprio come 26 anni fa, il Milan di Silvio Berlusconi imbocca un altro sentiero rivoluzionario. Allora, raduno con gli elicotteri all'Arena e mercato aggressivo per mettere fine al monopolio juventino, fu l'inizio di una lunghissima marcia trionfale cominciata a Barcellona (prima finale di coppa dei Campioni, maggio dell'89) e non ancora conclusa. Anche allora non mancarono sfottò e giudizi taglienti sulla scelta di liquidare il passato e di dar vita a un cambio radicale di abitudini, metodi, ruoli, organizzazione societaria e di squadra. Adesso il Milan di Silvio Berlusconi ha imboccato una strada piena di buche e di trappole sospinto dalla crisi economica e dotato del coraggio necessario per sfidare, come 26 anni fa, l'immaginario collettivo secondo cui non c'è Milan senza Thiago e Ibra, dimenticando quel che accadde quando si ritirarono Van Basten e Franco Baresi. Oppure quando furono ceduti, con cospicuo vantaggio per il bilancio e nessuna controindicazione per i risultati tecnici, prima Shevchenko e poi addirittura Kakà. Il tesoro raccolto, 170 milioni, dalla doppia cessione ai nuovi ricchi di Parigi non mette solo al riparo il bilancio milanista per i prossimi 5-6 esercizi ma consente a Galliani e Braida di preparare con cura l'inevitabile ricambio generazionale.
E il futuro del Milan non può che passare dalla ricerca di nuovi talenti che possano vestire la stessa maglia di Thiago e Ibrahimovic, a costi diversi naturalmente, con stipendi meno impegnativi. Qui si ritroveranno dinanzi al solito bivio: reclutare nomi che possano accontentare la piazza, oppure puntare gli investimenti sui più promettenti esponenti del vivaio italiano e non. Le cronache delle gazzette specializzate sono piene di nomi che bussano alla porta della notorietà e dei grandi palcoscenici come San Siro: Destro, Ogbonna, Astori, Verratti per dare conto dei più citati. Arrivano anche segnalazioni dal Brasile, tanto per cambiare: Dedè è il raccomandato di Serginho per il ruolo di difensore centrale. Tocca agli affidabili esperti di via Turati provvedere alla scelta: in 26 anni sono stati di sicuro più le pesche miracolose che gli inevitabili sfondoni. Quello che può e deve recuperare il Milan rispetto al suo recentissimo passato e alla sua genetica calcistica, è la fede nel gioco e in particolare nel gioco offensivo. Nel mese di giugno, in Polonia e Ucraina, abbiamo assistito a un tentativo riuscitissimo, firmato da Cesare Prandelli e dalla sua Nazionale. Cesare non aveva Thiago e nemmeno Ibrahimovic a disposizione, ma tre tenori, Buffon, Pirlo e Cassano, capaci di guidare un drappello di onesti orchestrali, tutti disposti al sacrificio. È bastato cementare, con un lavoro certosino, i 23 azzurri partiti senza alcuna speranza di successo per saltare da una complicata qualificazione nel girone e atterrare in una finale che avrebbe avuto un altro esito se soltanto il regista folle del calendario non avesse sistemato l'appuntamento due giorni dopo la semifinale. Forse vale la pena provare.
Per fortuna del Milan e del calcio italiano, da qualche tempo anche l'Inter di Massimo Moratti, un tempo definito "lo sceicco bianco" da Fedele Confalonieri per i fuochi d'artificio sul calcio mercato, è sulla stessa virtuosa rotta. A dimostrazione che il paese soffre i morsi della crisi e che le aziende degli azionisti non producono più i redditi di una volta. Le operazioni dell'Inter, tutte concentrate sul taglio di stipendi non più compatibili e orientate verso l'acquisizione di baldi giovanotti, con l'aggiunta di un allenatore semi-debuttante e coraggioso, rappresentano la necessaria sintonia tra le due sponde calcistiche di Milano che può rendere meno tormentata la scelta politica.
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