Questa volta il Milan non c'entra. O meglio: c'entra ma di striscio. C'entra perché Galliani e Raiola hanno avuto il merito di essere riusciti nell'intento di trascinarlo da Manchester a Milano. C'entra ma di striscio, dunque. Nel senso che la consacrazione di Mario Balotelli, giovedì sera a Ginevra, è conseguenza diretta del suo arrivo a Milanello e del suo ritorno a casa e si può intrecciare perfettamente con il clima da profeta atteso e osannato, vissuto dentro le viscere rossonere. La copertina di Brasile-Italia è tutta per lui. E non solo per gli elogi arrivati da addetti ai lavori e sodali, capaci di cogliere anche le sfumature di una prova superba, seguitissima in tv (8,5 milioni gli italiani davanti al video, 29,1 lo share). Per esempio il ct Prandelli ha sintetizzato in modo perfetto: «Lavoro, gol e famiglia gli fanno bene. È stato bravo a non reagire nei confronti di Hernanes, gli serve serenità».
Forse anche continuità che è l'anticamera della gloria prima di raggiungere sul podio più alto gli altri colossi del calcio mondiale. «Potenzialmente è tra i primi 5 al mondo, ma deve trasformare le potenzialità in continuità», concorda il ct, che poi ha frenato i facili entusiasmi: «Non paragoniamolo ancora ai grandi del passato. Gigi Riva? Lui è inarrivabile, trascinava da solo la squadra... Anche Mario è una punta che fa reparto da solo, ma non ha ancora la sicurezza che aveva Gigi». Mentre Buffon elogia lo spirito di sacrificio mostrato «nell'aiutare i compagni, è stato, non dico commovente, ma qualcosa di bello da vedere». E allora ecco il Mario Balotelli già santo ed eroe nazionale, dopo essere stato all'inferno e trattato dai tabloid inglesi come una specie di teppista da strapazzo capace solo di tirare qualche calcio al pallone. Lui, Mario, l'interessato, ha incassato quasi senza accorgersene il fiume di lodi e si è limitato a una dedica e a darsi un voto basso. «Gol dedicato a un amico cantante, mi do 6 perché ho sbagliato altre occasioni», la sua pagella che mostra un aspetto del carattere, non si accontenta del poco ottenuto, pretende e molto da sé stesso. Ultima appendice di natura tecnica: «Nel secondo tempo, col 4-3-3 mi sono trovato meglio» la dichiarazione che è musica per le orecchie di Allegri e Galliani. Già perché sono state cestinate le presunte allergie di El Shaarawy: entrato lui, con Cerci, Mario ha preso a martellate la porta brasiliana di Julio Cesar.
Cosa è successo a Mario Balotelli in questi ultimi due mesi è molto semplice da spiegare. E ha a che fare con la psicologia oltre che con il calcio. Il ragazzo è finalmente tornato a casa sua, ha recuperato la sua famiglia che a Manchester gli mancava maledettamente. Deve avergli giovato anche un certo equilibrio sentimentale conquistato grazie alla nuova fidanzata, sempre al suo fianco senza protagonismo sfacciato. A Manchester si sentiva in gabbia, inseguito giorno e notte dai cronisti, qui ha respirato la libertà e anche il sapore di fragranze antiche. Ha preso a giocare e a fare gol per la squadra del cuore, è stato accolto non come un rompi-spogliatoio, ma come un messia, ha fatto subito amicizia con i ragazzi e i senatori del gruppo. «Lavoro, gol e famiglia» ha ripetuto Prandelli. Sintesi perfetta. Perché lo stesso Allegri ha più volte declinato il suo apprezzamento per come Mario si è messo al lavoro: mai un ritardo, mai un atteggiamento sbagliato, mai una "balotellata". «Deve solo gestire meglio il suo privato» l'unico consiglio riferito dal tecnico al suo centravanti che ha preso a fare gol con continuità. Come non gli è mai accaduto. Specie quando al Manchester Roberto Mancini, che pure ha avuto il merito di scovarlo e lanciarlo ai tempi di Appiano, lo ha tenuto spesso in panchina alternandolo ai tanti big del team inglese. «Sono venuto via perché volevo giocare» ha spiegato Mario.
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