
Dice un poeta giapponese che aspettando la neve vede nella sua tazza luci scintillanti. Speriamo che sia così anche per il sessantenne Luca Banchi, poeta del sacrificio, che da ieri è il 23° allenatore della nazionale di basket. Lo presenteranno venerdì 3 ottobre nella sala d'onore del Coni, poi esordirà il 27 novembre con Azzurra tenebra contro l'Islanda cercando una qualificazione per i mondiali di Doha nel 2027. A lui la patata bollente sfuggita dalle mani del Pozzecco giustamente ringraziato ed abbracciato dal presidente Petrucci.
In una carriera iniziata a 18 anni con le giovanili di Grosseto, la città dove è nato, ha visto il sole e la pioggia, ha visto il bene e il male del basket che lo ha portato in mille posti, da Livorno a Trieste, Trapani, vice nello splendore di Siena, scudettato nel 2013 in piazza del Campo anche se poi quel titolo come la coppa Italia glieli hanno tolti per colpe certo non sue e l'anno dopo, infatti, guidando la rivale si è rifatto con l'Armani lasciata con tristezza per un sabbatico e altre panchine. In questi viaggi ha riscoperto anche la luce oltre la neve in Lettonia lasciata alla fine dell'ultimo europeo. Allenare l'Italia è stato sempre fra i suoi sogni, nella famiglia azzurra c'era già stato come vice di Pianigiani nel 2010. Conosce questo mondo, anche lui sarà rimasto sbalordito sentendo dire dal presidente Petrucci che la serie A in partenza è il gioiello della Federazione per quanto potrà aiutare la nostra Nazionale. Con chi? I panchinari. Meglio forse cercare con gli esiliati.
Trova un basket impoverito che a livello di Nazionale non vince più una medaglia dal 2004 e i club, ancora pieni di giocatori di altre scuole, da troppo tempo non ci danno grandi soddisfazioni. Comunque buona fortuna anche se non molti dei suoi colleghi di serie A riusciranno o cercheranno davvero di aiutarlo.