Il colpo di tacco che manda il Diavolo all'inferno. Per carità una prodezza, fiuto, anticipo, tecnica, tutto, ma il giorno che qui a Milano Rodrigo Palacio è diventato un mito è stato proprio un anno fa, 18 dicembre, un martedì come un altro di coppa Italia a San Siro contro il Verona.
Stramaccioni aveva già fatto i tre cambi, Guarin per Mariga dopo l'intervallo, poi Zanetti per Juan Jesus al 55' e Alvaro Pereira per Cassano al 75'. Neanche un minuto dopo Castellazzi finisce a terra, sembrava solo uno stupido infortunio alla spalla ma alla fine resterà fuori cinque mesi. Intanto bisognava cercare qualcuno da mettere in porta. Strama si guarda attorno, Chivu si offre ma non era il caso di sbilanciare la squadra, allora chiama Alvarez e Palacio mentre il dottor Combi lavora sulla spalla di Castellazzi. Palacio gli fa: «Vado io in porta, da piccolo ci giocavo». Strama gli vorrebbe rispondere che in fondo è alto solo 1,75, non lo fa e ben gli è andata, Palacio in porta per 16 minuti, recupero compreso, è stato fenomenale, fantastico, epico. Sotto la curva Sud è volato all'incrocio per togliere una conclusione ravvicinata di testa di Carrozza e San Siro è schizzato sui seggiolini come ai suoi gol. Ogni volta che toccava la palla un'ovazione, poi si fa male anche Nagatomo che non corre più, adesso è tutto sulle sue spalle e lui neanche una piega, tutto normale: «Il portiere lo facevo da piccolo».
Il calciatore normale quel giorno, senza farlo sapere in giro, si è fatto beffa di tutti quelli che non è il suo piede, oppure, non è giudicabile perché gioca fuori ruolo, o lui dietro è meglio a quattro che a tre. Tutti quelli che lo hanno conosciuto dicono che è talmente modesto e semplice da far dimenticare le sue prodezze sul campo. Un giorno gli hanno chiesto se in caso di scudetto, si sarebbe potato il codino e lui: «Non esageriamo». Se l'è fatto crescere dopo un gol strepitoso all'Huracan con il Boca, adesso ci tiene, è talmente sottile che svolazza anche se non c'è corrente. Erick Thohir ha detto: «Quel gol è uno dei più belli dell'anno». Lui avrà sicuramente pensato che anche se segnava su rimpallo e vincevano il derby, quel gol sarebbe stato uno dei più belli dell'anno. D'altronde il Divin Codino si sa chi è, il taco de Dios era Socrates brasileiro, meglio El Trenza, profilo basso e tanti gol, con l'Inter 34 in 57 presenze, media da grandissimo bomber, superiore anche a quella dei suoi anni al Boca. Fa: «Non so se è il gol più bello, però è il più importante della mia carriera e sono contento per la squadra. Adesso andiamo a casa felici. Magari la società prenderà un altro attaccante ma a me dispiace molto che non ci sia Milito, mi piacerebbe tanto giocare con lui». Palacio non è una prima punta, è lì per un'esigenza della scorsa stagione, tutti rotti e lui non si è tirato indietro, poi c'è rimasto. Nel dopo derby Mazzarri ha commentato così: «È incredibile, prima gioca per la squadra e poi per lui. Sa benissimo che se ci fosse Milito, giocherebbe Milito tutta la vita, eppure...».
Eppure non rompe le scatole. C'è un contratto da sistemare ma sembra uno degli ultimi problemi, è già partito per l'Argentina con la signora Wendy e la figlia Juana, torna il 31 per preparare la Lazio all'Olimpico il 6 gennaio. Poi inizieranno anche i giorni del mercato, adesso improvvisamente sono diventati tutti incedibili. A Thohir hanno chiesto di Guarin: «Vedremo. Il 60 per cento degli acquisti invernali sono un fallimento, chi arriva impiega troppo tempo ad ambientarsi, bisogna muoverci con cautela per non rovinare quanto c'è di buono». Il dg Marco Fassone è stato ancor più cauto: «Non voglio entrare nel merito di un'operazione che al momento non c'è. Sono solo rumors, Guarin è un campione e ce lo teniamo stretto, col Milan ha fatto grandi cose. Lui è un giocatore di talento e qualità, quindi ha più valore sul mercato e molte richieste.
Palacio non c'entra, Thohir ha capito chi è, ieri il neo presidente dell'Inter ha ricevuto più abbracci in tribuna che in tutta la sua vita in Indonesia e il merito è stato del Trenza.
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