Da Pallotta a Thohir un'Italia del pallone al passo col mondo

L'americano acquista un altro 35% della Roma L'indonesiano sta rivoltando l'Inter morattiana

Da Pallotta a Thohir un'Italia del pallone al passo col mondo

Un americano a Roma. Un indonesiano a Milano. Il calcio italiano parla lingue diverse, nuove, soprattutto ricche. James Pallotta ha rilevato la quota, trentacinque per cento pari a 55 milioni di euro, posseduta fino a ieri da Unicredit. Erik Thohir ha preso in mano, al settanta per cento, la proprietà dell'Inter. Escono di scena due famiglie storiche, illustri e importantissime per il calcio italiano, i Moratti e i Sensi, là dove Massimo Moratti e Franco Sensi, con la moglie Maria Nanni e poi con la figlia Rosella, avevano ricostruito e rilanciato l'immagine, la forma e la sostanza dei due club, oggi nuovi investitori cercano di consolidarne la storia, su un piano squisitamente imprenditoriale e sinceramente meno affettivo.

Il football mondiale da anni ha registrato una svolta, dal mecenatismo è passato all'impresa, da un rapporto famigliare a quello aziendale. Il calcio italiano è arrivato per ultimo in questo fenomeno ma è arrivato in due città simbolo, in due club che non rappresentano soltanto ed esclusivamente il gioco, il pallone. I bostoniani di James Pallotta hanno capito che Roma, non soltanto la Roma, è un brand unico al mondo, è una password universale, è un patrimonio che noi italiani abbiamo trascurato prima e violentato dopo. Roma non è soltanto " maggica " per i suoi tifosi, è un museo a cielo aperto (come il resto dell'Italia bellissima) e può diventare uno stadio aperto al mondo e non soltanto all'evento ristretto nei 90 minuti. E' un affare, non si vende la fontana di Trevi ma si propone un modello di investimento che andrebbe ripetuto in altri siti.

L'Inter da Moratti a Thohir ha smarrito alcuni dati caratteristici, di certo il peso, il fascino, il carisma di Massimo Moratti sui tifosi, sull'ambiente cittadino e internazionale, non ha corrispondenza nel nuovo proprietario indonesiano che, a differenza di Pallotta, viene da una terra "lontanissima" che pochi conoscono e che, con il calcio e lo sport, ha un legame particolare.

Ma Pallotta e Thohir hanno provveduto a cambiare la pelle dei loro clubs, hanno rivoluzionato gli organigramma, liquidando dipendenti che al club erano vincolati da antico affetto, fatti e non parole, questo impone lo spirito aziendale e aziendalista, come Marchionne, inascoltato, cerca di insegnare alla Torino eternamente orfana dell'Avvocato e dei suoi cortigiani. Inter e Roma si aggiungono a un plotone di milionari stranieri presenti in Europa. In Inghilterra l'invasione ha portato a dodici proprietari non britannici in Premiership, così suddivisi: Arsenal al 66,83 in mano ad americani, per il 29,99 a iraniani e russi; Manchester United, Aston Villa, Sunderland e Liverpool (Usa), Cardiff City (Malesia); Chelsea (Russia); West Ham (Islanda) Fulham e Hull City (Egitto), Manchester City (Emirati), Southampton (Svizzera) e in serie B sono 14 gli investitori stranieri. Nulla di nuovo, dunque, sotto e attorno al pallone "universale".

I tifosi sentono la nostalgia degli antichi padroni, tifosi come loro, capaci di esaltarsi e di provocare, in tribuna e in tv, gli avversari.

Ma oggi la quota mercato o cliente, come è detto appunto il tifoso, deve fare i conti con una realtà che non consente alternative: o il fallimento, con esposizioni clamorose verso le banche, o il cambio di proprietà, attingendo a capitali esteri, almeno quelli attirati dal nostro Paese. Il calcio non ha sindacati, semmai a svolgere questo ruolo sono i tifosi, appunto. Ma il calcio è azienda, porta denari e va in giro per il mondo. Il resto è romanticismo.

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