C'era una volta un calciatore nato nella città antica di Bari, detta Bari Vecchia. Quel calciatore si chiamava e si chiama ancora Antonio Cassano e, a luglio, il giorno dodici, compirà trentatré anni. Ha cessato la sua attività agonistica il ventisei gennaio scorso, rescindendo il contratto che lo legava al Parma per milioni di euro quattro, dopo aver rifiutato, detto da lui medesimo, offerte pervenutegli dagli Stati Uniti di America e da un Paese arabo.
Cassano Antonio ha partecipato, tra serie A, coppe nostrane e internazionali, a 490 partite, realizzando 138 reti; in nazionale si è presentato 39 volte con 10 gol in totale. Ha giocato per il Bari, la Roma, il Real Madrid, la Sampdoria, il Milan, l'Inter e il Parma, dove, per l'appunto, ha interrotto la carriera. Dal ventisei di gennaio al due di febbraio del Duemilaquindici nessun club ha voluto o saputo prendere in dotazione il calciatore barese.
Lo stesso Cassano ha dichiarato di avere rifiutato non una, non due ma quattro volte, le offerte della Juventus. Però! Si potrebbe dire e supporre che sia un professionista tutto di un pezzo. Ma, al tempo stesso, la domanda sorge spontanea: come mai un talento di tale cifra, un uomo che non si piega e nemmeno si spezza, un professionista che ha messo la faccia nella miserabile vicenda del Parma e si sfila prima che la nave, o meglio la zattera, vada alla deriva, un calciatore con un curriculum illustre di cui sopra e con numeri tecnici che tutti conosciamo, non abbia trovato una nuova sistemazione? Forse perché il nostro football abbonda di fenomeni e dunque un Cassano in più non serve a nessuno? Forse perché il barese avanza richieste di salario pesante? O forse perché, alla fine della favola, ci si è accorti che Cassano Antonio è un buon calciatore, lo è stato, ma i grandi calciatori sono altri, non quelli che fanno la cronaca ma quelli che scrivono la storia che altri poi leggono e imparano. In fondo a tradire Cassano è stato Cassano stesso, perché si è concesso quello che soltanto i fuoriclasse possono permettersi, da Maradona a Cruyff, da Puskas a Platini, i quali non avevano di certo una vita da frati benedettini, ma sul campo hanno segnato un'epoca e restano nei libri di testo.
Cassano Antonio, dunque, oggi è un uomo solo e nemmeno al comando. Evitato da molti, dico degli allenatori che a parole lo celebrano ancora ma nel pratico si guardano bene di suggerirne l'acquisto. E questa sua storia fa montare la rabbia, perché non si può buttare via così un talento vero, spontaneo, non si può bruciare, come lui ha fatto per cattivi consigliori, una carriera girovagando alla ricerca non dei denari ma del football perduto. Nella scorsa estate Cesare Prandelli decise di consegnare a lui e a Balotelli le chiavi di casa Italia, dimora senza antifurti e con troppi spifferi. Il mondiale in Brasile non ha lasciato traccia, al punto che si fatica addirittura a ricordare in quali partite Cassano abbia giocato e quali prestazioni abbia offerto. Sette mesi dopo, il barese è disoccupato e l'altro fenomeno fa la riserva nella città dei Beatles.
Verrà l'estate e Cassano
potrebbe ripensarci, togliere le scarpe dal chiodo (!?) e scendere di nuovo in campo. Dubito e sono curioso, comunque, di vedere chi sarà il primo a fare un passo in avanti.Sognare non costa nulla. Il conto arriva al risveglio.
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