Pelé, una perla nera sempre al centro del mondo del pallone

Il campione brasiliano compie 75 anni, probabilmente è stato il più grande di tutti i tempi di sicuro è da sempre termine di paragone per ogni big

Pelé, una perla nera sempre al centro del mondo del pallone

Il Re compie oggi settantacinque anni. Edison li ha già campiuti. Due giorni fa. La storia si trascina dall'ottobre del Quaranta, quando alle ore tre del giorno ventuno venne certificata la sua nascita, con documento numero 7095, comma 123 del libro 21-A, nel comune di Tres Coraçoes. Joao Ramos, il padre, era così felice che decise di chiamare il pupo con il nome dell'inventore della luce elettrica che aveva appena illuminato le case brasiliane. Il neonato fu battezzato un anno dopo, il sei di aprile del Quarantuno e sul certificato la data di nascita venne corretta in ventitré di ottobre del millenovecentoquaranta, il nome da Edison in Edson.

La sostanza non cambia, Edson Arantes do Nascimento sarebbe stato da lì a poco Pelé e basta. Lui, in verità, odiava quel bisillabo da circo, lo chiamavano così i compagni di scuola e ne prese a pugni uno, scontando due giorni di squalifica, l'unica della sua vita, della sua carriera.

Pelé è O Rei, il re, Pelé è il calcio, come Frank Sinatra la musica leggera, Pelé è l'ombelico del campo di gioco, è il simbolo del riscatto di una razza che sopravviveva appartata e che con lui trovò la gloria, gli applausi, la celebrazione. Mille gol lo consacrarono come il più grande attaccante di sempre. Pelé non era soltanto un attaccante, era quello che, da tempo, viene definito un "calciatore universale", potente, mai prepotente; sicuro, mai spavaldo; felino, mai scaltro; di eleganza e forza, con bicipiti da pistard, di pura seta, esplosivi. Lo presero al Santos, aveva quindici anni quando segnò il primo dei mille. Lo prese il Brasile e si presentò con una rete all'Argentina, i verdeoro uscirono sconfitti ma si capì che avevano trovato una perla nera. La storia di Pelè vive ancora oggi, i suoi settantacinque anni non sono nulla a confronto della leggenda eterna che ha costruito non con un taglio di capelli, i tatuaggi, gli sponsor, le polemiche.

Ha portato il football nel mondo, lo ha esportato in America là dove, per non confondersi, lo chiamarono e lo chiamano ancora soccer. I Cosmos erano la giusta insegna della ditta calcistica yankee, a New York O Rei fu the King, John Houston lo volle in Fuga per la vittoria , nel film prese il nome di Luis Fernandez, nativo di Trinidad. Segnò, con un braccio incollato al petto dopo un fallo bestiale di un tedesco, il pareggio del 4 a 4 con una splendida rovesciata, detta la "chilena" che fece scattare in piedi e applaudire anche il gerarca nazista. Come aveva fatto eccitare il popolo di ogni dove con le tre coppe del mondo vinte, a 18 anni in Scezia, nel Sessantadue in Cile quando lo azzopparono e non giocò la finale vinta sulla Cecoslovacchia, l'agguato si ripetè in Inghilterra, lo fecero fuori prima che la Regina potesse eventualmente consegnare a un nero la coppa che finì agli inglesi sui tedeschi. Pelè tornò a salire nell'aria messicana sopra la testa dura di Tarcisio Burgnich nel Settanta.

Fotogrammi ancora lucidi in un film che cambia personaggi e interpreti in modo feroce, alcuni bruciati, altri ormai scomparsi, Alfredo Di Stefano, eroe di più continenti, Giuseppe Meazza, due mondiali, trecentocinque gol in quattrocentosettantasette partite, Johan Cruyff, la faccia di una zia avvizzita e lo stile di un campione oggi svuotato dal male oscuro, Diego Armando cioè Maradona, rivale di lingua e di razza, argentino contro brasiliano, fenomeno assoluto come Ronaldo, quello vero, un altro figlio delle favelas diventato signore del calcio, Michel Platini, la normalità fatta eleganza. Tutti uomini con gli occhi rivolti verso la porta, per gonfiarla di gol e di gioia e per firmare la storia con il loro cognome, correndo con la fantasia e non con la lavagna della tattica.

Per la generazione che ha seguito il calcio, non in televisione e su wikipedia, ma annusando l'odore forte dell'erba fradicia e dell'olio canforato, resta sempre l'immagine votiva di Edison, settantacinque anni, tre mogli e sei figli dopo.

Dicono che O Rei sia diventato tale, e la leggenda con lui, perché non abbia mai voluto attraversare l'Oceano, abbandonando il Santos, per confrontarsi con il calcio europeo. Dimenticano che il Brasile, per il football, è il mondo, i gol, le coppe, la torcida, la storia. E il football é Pelè, insieme con i suoi illustri compagni di avventura e di sogni.

Il resto, non so che cosa sia.

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