Calcio

Pep, "treble" nel sangue e Cruyff negli occhi. È lui il nuovo sir Alex

Guardiola ha dimostrato ai suoi critici di saper vincere anche senza.... l'argentino

Pep, "treble" nel sangue e Cruyff negli occhi. È lui il nuovo sir Alex

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Inquieto. Scaltro. Una faina. Intelligente, astuto. Una volpe. Quando prese in mano il Barcellona B fece immediatamente intende re di avere imparato benissimo l'arte da Johan Cruyff, l'olandese che giocava a football come chiacchierando seduto al tavolino di un bar sulle ramblas. Questo è il calcio di Josep, detto Pep e sembra un segnale di allarme, Guardiola, venuto dalla terra di Santpedor che sta, sulla cartina di Spagna, in alto a destra ma proprio in alto verso la Francia ma è Catalogna pura e dura, anima di indipendenza e voglia di libertà dal potere di Madrid, in fondo è stata ed è la lezione di Guardiola, la gabbia però dorata, il suo modo di frequentare la partita, di leggerne lo sviluppo eppure seguirlo con scatti improvvisi, quasi un tic, muove la lingua, piccoli, brevi sputi, le braccia al cielo, gli occhi di guerra, il corpo fasciato da una maglia sempre più stretta. Ha vinto, da allenatore, la sua terza coppa dei campioni, la chiamo così perché la nuova definizione ha tolto il fascino antico, appunto quello del torneo dei migliori. Dicevano, dicevamo che il Pep fosse diventato illustre grazie a Messi e poi a Xavi e Iniesta, il suo noiosissimo tikitaka aderiva alla famosa immagine coniata da Gianni Brera «masturbatio grillorum», in breve senza quei tre tenori la melodia sarebbe stata una nenia. Balle degli invidiosi. Il Manchester City, detto City e basta, di Guardiola ha reinventato la formuletta magica catalana, l'ha irrobustita con quell'incredibile Hulk norvegese, Haaland, ha usato la sapienza di Gundogan, si è regalato i polpacci da ciclista di Grealish, uno scherzetto da cento e passa milioni di sterline, ha prelevato el mundial Alvarez, si è inventato Stones, ha cucito il resto del tessuto facendone un capo di altissima moda. Guardiola è faina e volpe, furbissimo ad esaltare le qualità dell'avversario, può essere Spalletti o Klopp, Arteta o Conte, per ultimi De Zerbi e Spalletti, infine Simone Inzaghi costretto a cedere le armi, tutti però più bravi di lui, a sentirne certe prediche pronunciate ballando appena sulla seggiola, scuotendo il capo, la lingua velocissima pronta a rispedire al mittente eventuali pensieri diversi, anzi lui li ascolta e acconsente con l'aria volpina facendoti capire che il fesso sei tu. La vittoria di Istanbul, dopo quella di coppa d'Inghilterra e di Premier , dunque il treble, lo mette a fianco di sir Alex Ferguson e dell'altro Manchester, lo United. Ecco, potrebbe accadere che re Carlo III onori il catalano del titolo di baronetto, sir Josep Guardiola ha più gioielli del tesoro della regina ma che ha cercato quest'ultimo trofeo come mai prima, perché gli era rimasta in gola l'acida provocazione. «ma senza Messi...». Ora Messi va a Miami per qualche dollaro in più e anche Pep torna da Istanbul con una coppa in più, la stessa alzata nell'aria di Wembley la sera del 28 maggio del 2011, un'attesa di dodici lunghi anni, inseguiti sapendo che c'è dell'altro nella vita.

Basta volerlo, basta cercarlo, partendo da quella piccola fetta di Spagna, pido disculpas de Cataluña, in alto a destra.

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