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Petrucci: "Ho attraversato il deserto... Lo amo"

L'ex pilota MotoGP e la sua Dakar già finita: "Ma l'atmosfera è incredibile"

Petrucci: "Ho attraversato il deserto... Lo amo"

Quando ha visto allontanarsi la sua KTM trainata dall'elicottero di soccorso, Danilo Petrucci ha avuto un grandissimo groppo alla gola. Solo allora ha capito cos'è il mito della Dakar e quanta fatica costa. Il suo sogno è terminato al terzo giorno della grande maratona, esattamente al chilometro 115 della seconda speciale che da Ha'Il ha portato la carovana ad Al Qaisumah.

Non essendo un pilota elite, ma con un trattamento speciale considerato il suo palmares in MotoGP, Petrucci ieri si è riunito alla gara, ma fuori classifica, grazie alla nuova regola introdotta a partire da questa edizione e riservata a chi ha avuto un guasto tecnico o meccanico che prevede una penalità di 11 ore e 30'.

«Non avevo ambizioni di classica, ma avevo iniziato a prenderci gusto», racconta Petrux che per la prima volta si sente a suo agio tra i robusti piloti da rally raid, rispetto ai minuti colleghi della MotoGP. «Ero terzo quando ho avuto un problema elettrico alla moto. Era una speciale velocissima e mi sentivo bene, poi nel cambiare serbatoio si è rotto un fusibile, come ho scoperto poi al bivacco. Sul momento ho cercato di capire cosa fosse, ho persino smontato la moto, travasato la benzina da un serbatoio all'altro». Un problema che capita, dicono i più esperti, e facilmente risolvibile con i pezzi di ricambio presenti sulla moto, ma la Dakar è una gara dove l'esperienza si guadagna sul campo. «Adesso capisco perché la chiamano la gara più dura al mondo». Ma non poteva chiedere aiuto ad altri piloti? «Volevo telefonare ai ragazzi della squadra. Ho cercato il telefono, ma la tasca del giubbotto era vuota. Ho perso tutto: passaporto, patente, soldi e carta di credito». La rottura dell'astragalo e la positività al Covid avevano già tormentato l'avvicinamento alla gara.

Accolto al bivacco come una personalità, Danilo si è sorpreso. «Non avrei mai voluto premere il bottone di aiuto, l'sos che ti mette in contatto con la Direzione corsa per il soccorso medico o meccanico. Ho ancora i brividi al ricordo. La cosa bella però è stata sentire il dispiacere degli organizzatori quando hanno visto la mia chiamata». Petrucci ha fatto così esperienza dell'umanità che c'è ancora nei rally raid. «L'atmosfera tra i piloti è incredibile, forse perché nel deserto aperto la percezione del pericolo è reale. In poche tappe mi sono reso conto di quanto sia dura. È un sforzo fisico e mentale enorme. Vivi con la moto. Ottocento chilometri di trasferimento in un giorno sono massacranti e poi la veglia alle 3.30 della mattina e il freddo tremendo che non ti aspetti in Arabia». Ieri Petrucci è tornato in sella, chiudendo a 9 minuti dal più veloce. «Non mollo», risponde sorridendo. E alla domanda sulla stagione 2022 risponde: «Ancora non so».

Chissà che il futuro non sia proprio nei rally raid per il ternano.

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