Il re è tornato. Gianni Petrucci cuor di leone lascia dopo 14 anni le sante crociate come presidente del Coni, dove ha combattuto in un paese che usa lo sport e certo non lo ama, per riprendersi la corona del basket lasciata nel 1999, succedendo al Dino Meneghin subentrato alla fortunata gestione del Maifredi, crudelmente messo da parte anche se sotto la sua gestione aveva portato un oro europeo e l'argento olimpico, sogni mai sfiorati dal suo successore, un campione, il più grande per questo sport, il più sfortunato erede di un mondo che da Atene 2004 non ha più conosciuto giorni felici.
Meneghin, che fortunatamente resterà come ministro degli esteri perchè nel mondo è lui il basket italiano, si è congedato ammettendo errori («il ruolo non si improvvisa, forse non sono stato il migliore possibile, rivendico però con orgoglio la mia correttezza ed onestà intellettuale. Tanto ho fatto, ma tanto resta da fare».)
Entusiasta ed emozionato, così è sembrato il Petrucci che dopo aver parlato col Papa, il presidente della Repubblica, tanti capi di stato, ora dovrà vedersela con il piccolo mondo antico dei comitati regionali, con la pallacanestro dove pensa di avere ancora tanti amici e gente che gli vuol bene, vassalli che per quasi il 95% lo hanno votato in una elezione scontata e senza opposizione come si vede dal consiglio federale appena eletto, la parte fragile di un programma che parte da un'idea brillante: convocare subito gli stati generali del basket e creare, in ogni regione, dei centri tecnici federali per la ricerca, il reclutamento, partendo dai campetti, lo sviluppo tecnico dei giocatori soffocati da troppi anni di promiscuità con un professionismo ottuso che escludeva il prodotto italiano, con la scusa che costava troppo e non conveniva spendere nei vivai.
Il Petrucci due è un presidente ossessionato dalla partecipazione della nazionale alle Olimpiadi, strada durissima che comincerà per il settore maschile nei difficili europei in Slovenia e per le donne con i campionati continentali in Francia: «Abbiamo saltato due Olimpiadi, ma abbiamo ancora negli occhi le bellissime qualificazioni delle squadre di Pianigiani e Richini ai prossimi europei. Abbiamo giocatori e giocatrici validi che possono farci fare bella figura. Ai presidenti di società e agli atleti dico che la maglia azzurra deve essere messa al primo posto perché non saranno mai al vertice se non vinceranno con la casacca del loro Paese».
Petrucci sogna convocazioni che creino polemiche, perché questo vorrebbe dire avere tanti giocatori da presentare alla ribalta internazionale. Sembra un'utopia se ancora dovremo metterci in ginocchio aspettando l'adesione dei tre italiani nella Nba perché, come si è visto nell'ultima estate, a parte Gallinari, che è rimasto in azzurro anche quando era infortunato, gli altri due, Bargnani e Belinelli, avevano deciso di rinunciare per non compromettere la loro carriera americana.
Per arrivare alle Olimpiadi Petrucci vorrebbe sempre più italiani nel campionato e allora aspettiamoci una "guerra" con la Lega, anche se lui si aspetta la massima collaborazione, pur sapendo che nella crisi non si è visto un lampo creativo nella gestione dei campionati dove abbiamo perso società storiche, dove molti vagano sperduti alla ricerca di sponsor e pubblico.
Il sindaco del Circeo ha già fatto sapere che si dedicherà solo al basket e non alla politica, anche se molti lo vedrebbero bene ministro dello sport dopo i 14 anni d'oro al Coni, lo ha detto a tutti e soprattutto ai suoi due vicepresidenti, il confermato Laguardia e la novità Anna Cremascoli, presidente della Cantù splendida delle ultime stagioni, rappresentante in consiglio della Lega di serie A, forse quella in posizione più delicata proprio quando si dovrà parlare di ridurre gli americani del campionato.
É vero che il presidente eletto ha rassicurato proprio la Lega, affermando che «bisogna sfatare la diceria di una Federazione che ama controparti deboli per comandare a suo piacimento, perché soltanto lavorando insieme si possono migliorare le cose», ma la realtà è che l'organismo delle società è un orticello dove ognuno pensa a coltivare i propri cetrioli. Una strada in salita, ma almeno c'è una strada.
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