Adesso il Brasile non vuole più essere il Paese del calcio

L'élite bianca non ha speso lacrime. E nelle favelas nessun suicidio. Senza il volano Mondiale la presidente Dilma ripiomba nei suoi guai

La stampa brasiliana dopo la disfatta della Nazionale
La stampa brasiliana dopo la disfatta della Nazionale

nostro inviato a Rio de Janeiro

Bruno, il padrone del bell'appartamento proprio sotto il Cristo Redentor, dove una dozzina di amici aspettavano alla tv Brasile-Germania, lo aveva detto prima della partita: “Non posso fare il tifo per il Brasile, se no ci ritroviamo Dilma per altri quattro anni”. Poi, dopo il quinto gol di Khedira, nemmeno i tifosi più cinici erano di buon umore. Tuttavia l'”elite bianca” brasiliana, che va dalla classe medio-alta in su, non ha perso la calma, non ha speso lacrime, ha razionalizzato. E nella conversazione la politica ha preso il posto del calcio. Le elezioni sono alle porte, in ottobre. Ora il presidente Dilma, senza un successo della Selecao a drogare il suo gradimento, rischia davvero. L'inflazione galoppa al 6,5%, il Pil arranca all'1,3%: da oggi i problemi tornano a essere questi. Servono risposte, l'elite bianca, che non ama Dilma, non farà sconti. E il presidente, non a caso, si è ieri fatta intervistare dalla Cnn per dire che “la capacità di superare questa sconfitta sarà la prova per una intera nazione”. Il Brasile contemporaneo, la sua classe dirigente, persa l'occasione di vincere i mondiali in casa, non intende ora perderne una seconda ben più importante: quella della conquista della maturità di una Nazione che non vuole più essere il Paese del Calcio, ma una delle prime 10 democrazie e potenze mondiali che non può piangersi addosso. Una sconfitta così, mai vista, di goleada, 7 a 1, contro la Germania, in casa, nel mondiale che si doveva vincere, è un'occasione unica. Ma questa è una partita che è appena cominciata.

Fuori, martedì sera, le strade di Rio de Janeiro sono rimaste deserte fino al 90esimo. Un'acquazzone tropicale, addebitato naturalmente al pianto del Cristo, ha completato un pomeriggio da tregenda. Poi non tutti hanno reagito con la stesso distacco della “elite bianca”. A Copacabana davanti al mega schermo del Fan Fest, si è scatenata una rissa tra tifosi, brasiliani e argentini, che ha generato paura e un fuggi fuggi generale nelle strade laterali, con l'intervento della polizia militare a disperdere i facinorosi. Spari a salve. Nessun bilancio di sangue, un poliziotto contuso. Un po' più in periferia, una linea di autobus per l'aeroporto è stata bloccata per una rapina. Pare si sia trattato di un regolamento di conti tra rivali della favela Madureira, esploso però proprio alla fine della partita: il risultato non ha aiutato la pacificazione. I bollettini del resto del Paese hanno registrato problemi più grossi. Soprattutto a San Paolo, dove un grande capolinea-deposito di autobus pubblici è stato assaltato con bombe incendiarie: 17 mezzi sono bruciati del tutto e mentre i pompieri intervenivano un supermercato della zona è stato rapinato. Altre rapine a esercizi commerciali sono avvenute, dopo la partita, a Joao Pessoa e Manaus. Mentre a Vila Madalena e Curitiba la polizia militare è intervenuta con manganelli e proiettili di plastica per sedare scontri tra tifoserie, per lo più brasiliani e argentini. Un ferito serio.

A parte le risse tra tifosi, dovute alla presenza massiccia degli odiati argentini, l'impressione è che gli incidenti, sul terreno fertile della sconfitta calcistica, siano più simili ad attacchi criminali che non a proteste per l'esito dei Mondiali. La stessa Selecao, arrivata all'aeroporto di Rio nella notte da Belo Horizonte, è stata fischiata da non più di una quindicina di tifosi. Non ci sono notizie di suicidi, tantomeno collettivi, o di manifestazioni di protesta di massa. Piuttosto il sentimento che si respira è di tristezza. “Vergogna”, “Disonore”, “Umiliazione”. Sono stati i titoli dei giornali, che in Brasile contano ancora molto, con i quali ieri il Paese si è risvegliato però più triste che rabbioso. Una festa finita male e troppo presto. Tristezza e fatalità. Come se questo fosse l'epilogo che tutti aspettavano diverso, ma che in fondo all'animo sapevano fosse inevitabile. Il Brasile pentacampeao vince solo in esilio, mai in mezzo al suo popolo, dove diventa tanto fragile quanto presuntuoso.

Nel 1950, quando il Brasile aveva ospitato la sua precedente Coppa del Mondo, il 91,7% dei brasiliani oggi viventi non erano nati. Per 185 milioni di persone, su 202 milioni di abitanti, questa era la prima volta.

E' finita peggio dell'altra. Allora dieci furono i morti dentro al Maracanà per infarto; due per suicidio; 34 gli altri suicidi nei successivi tre giorni di lutto nazionale. Stiamo a vedere. Ma questa volta siamo in un altro secolo.

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