Platini, l'Avvocato e quel Pallone d'oro Monsieur Calcio compie 60 anni

Il presidente dell'Uefa è stato l'uomo simbolo della Juve anni '80. Stregò Gianni Agnelli a cui, per i 70 anni, regalò il proprio Pallone d'oro: "Questa è l'unica cosa che lei non potrà mai avere..."

Platini, l'Avvocato e quel Pallone d'oro Monsieur Calcio compie 60 anni

A Guadalajara il caldo era terribile. I brasiliani erano il luna park del calcio, i francesi ammiravano, in silenzio, il futbol bailado . Alla vigilia dei quarti di finale, Giresse riassunse il pensiero di tutti: «Mi verrebbe voglia di fermarmi e guardarli giocare». Era il ventuno di giugno del millenovecentottantasei. Michel Platini compiva trentun'anni e un suo gol aveva pareggiato la spettacolare rete di Careca. Zico sbagliò poi un calcio di rigore, fu come il segnale di una giornata diversa per gli dei del pallone. Le due squadre andarono ai tempi supplementari e poi ai rigori. Toccò anche al dottor Socrates commettere l'errore clamoroso, poi venne il momento di Platini. La canicola lo aveva sfiancato, era riuscito a tenere segreto un guaio alla schiena, i calzettoni erano addormentati sulle caviglie, camminò stancamente, come un messicano sotto il sombrero, tenendo le mani sui fianchi, caracollando, verso il dischetto, raccolse il pallone, lo sfiorò con le labbra, tentò il bacio della buona sorte, lo appoggiò delicatamente sul terreno, calciò quasi stirando il proprio corpo, all'indietro, la traiettoria sbilenca si concluse, decollando alta, nell'aria umida di Guadalajara. Michel si inarcò ancora di più, portandosi le mani ai capelli, disperato. Andò a centrocampo e sussurrò a Luis Fernandez, ultimo rigorista: «Segna, Luis, segna tu perché altrimenti quelli lassù mi taglieranno la gola!». Fernandez ubbidì, la Francia eliminò il Brasile, la testa del re fu salva.

Quelli lassù erano i giornalisti francesi, in tribuna stampa, con loro Michel aveva un rapporto ordinario ma di diffidenza: «Grazie a me avete fatto i turisti in giro per il mondo». Era così, Michel, è così ancora oggi, da sempre, guascone e tenero, faccia da schiaffi e sincero ai massimi, istintivo e razionale, calmo e passionale, intelligente e geniale.

Gianni Agnelli ama telefonare, all'alba, ad amici e conoscenti, il gioco perfido della sveglia pre mattutina lo divertiva come capita ai sovrani. Provò anche con Platini, erano le sei e mezzo di un mattino qualunque: «Stava dormendo?», Michel rispose in un secondo: «Non ancora». Fu l'inizio di una amicizia che si consolidò con gli anni al punto che quando l'avvocato celebrò i settanta, a Parigi da Chez Maxim, con un gruppo ristretto, invitò il francese che portò in dono uno dei tre palloni d'oro che aveva conquistato, accompagnato da un biglietto augurale: «Questa è l'unica cosa che Lei non potrà mai avere». Qualche giorno dopo, Gianni Agnelli telefonò a Michel per sincerarsi: «Ma è davvero tutto d'oro?», anche stavolta la replica fu trionfale: «Eh no, se fosse tutto d'oro non glielo avrei regalato...». Quel pallone dorato è rimasto a Parigi, nella dimora oggi di John Elkann, il presidente della Fiat FCA ha domandato a Platini se volesse riprendersi il trofeo: «No, un regalo è un regalo e rimane la mia memoria per la Vostra famiglia».

La memoria resta tale anche per l'Italia e per tutto ciò che il nostro Paese ha rappresentato per la sua carriera, cinque anni meravigliosi, per la Juventus, per lui, per la nazionale di Francia campione di Europa nel 1984 e due volte protagonista ai mondiali, un quarto posto in Argentina, un terzo in Messico. Platini francese in Italia e italiano in Francia, lo stuzzicava così Gianni Brera per il quale Michel nutriva un rispetto particolare, per la cultura del Maestro e l'amore per la Francia. Quello della doppia faccia italofrancese è un vizietto di famiglia. Nei cinque anni torinesi, al telefono di casa Platini, rispondeva puntualmente suo figlio: «C'est Laurent!». Cinque anni, così, senza un solo sforzo di fare l'alunno di italiano.

Il giorno dopo il rientro in Francia, nell'autunno dell'87, provai ancora. Da Nancy la voce puntuale del figlio ma stavolta: «Sono Lorenzo!», «allora sei come tuo padre…». In verità Platini ha imparato l'italiano nel café des Sports di suo nonno Francesco a Joeuf, nello spogliatoio della Juventus e con i dischi di Cocciante, Battisti e Lucio Dalla, compagni del dopo partita. Altri spiccioli juventini: Gianni Agnelli gli regalò un cane husky, il quale, ai primi fiocchi di neve a Nancy, si rifugiò infreddolito in casa. Michel telefonò all'Avvocato, chiedendogli ironicamente: «Credo che Lei mi abbia mandato un husky taroccato…».

Dicono che assomigli sempre di più a Gerard Depardieu, questione di nasi comunicanti, questione di un fisico debordante (da quando ha smesso di fumare), questione di Francia e di cuore italiano. Con il tempo ha ritrovato e consolidato i valori della famiglia che il calcio, con gli impegni, le trasferte, i ritiri, aveva messo da parte. Non l'ho mai visto piangere ma ne ho intuito la dignità del dolore quando sua madre Anna si è addormentata definitivamente lo scorso ventotto aprile. Michel teneva al braccio il padre Aldo, devastato dalla sofferenza improvvisa, erano un uomo solo in due corpi distinti. Laurent e Marine, i due figli di Michel che lo hanno reso nonno, stavano appresso, con la madre Christéle, nella chiesa Saint Leon di Nancy. Michel non informò nessuno di quella perdita, come sempre la sua vita privata è rimasta fuori da qualunque intervista e racconto. Così ha voluto Christèle Bigoni, maestra di piano, che è moglie e compagna discreta, presente ma sullo sfondo, ombra vigile del campione prima e dirigente dopo.

Michel dice che il calcio è dei bambini ma lui deve fare i conti con gli adulti che spesso non sono grandi. Non gioca più a pallone, ha tradito il tennis con il golf ma se "flappa" è come se avesse sbagliato un rigore. Ha portato mille idee a Nyon, luogo di sogni e di sonni, faticando con chi era abituato a ronfate svizzere.

Storia anche questa unica, vissuta prima sui campi di tutto il mondo, calciatore, capitano, allenatore, dirigente e poi presidente alla testa di cinquantaquattro Paesi, l'Unione europea del football, il vecchio continente che è il più nuovo del calcio mondiale.

Domani, trent'anni dopo quel rigore

a Guadalajara, nessun party, nessuna festa pubblica ma Parigi e il suo cielo, i figli, i nipoti, Christèle e il pensiero che, come diceva Pablo Picasso, a sessant'anni incomincia la giovinezza. Ma, forse, è troppo tardi.

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