Polemiche, oriundi, caos. E gli azzurri picchiati

1957: manca l'arbitro, il pubblico assale i nostri. Si rigioca e addio Mondiale. Giovedì l'Italia ritrova l'Irlanda del Nord

Polemiche, oriundi, caos. E gli azzurri picchiati

Michelangelo e la Battaglia di Belfast. Prima parte.
Anni Cinquanta, viviamo un momento magico, Fiorentina e Milan conquistano la finale di Coppa dei Campioni, brave, ma la spina dorsale dei nostri club è innervata in gran parte da stranieri e la Nazionale paga, forti dietro, mediocri in mezzo, scarsi davanti. Dopo la vergognosa spedizione al mondiale del '54 interviene il ministro degli Interni Giulio Andreotti che con un veto cancella i permessi di soggiorno ai calciatori stranieri ad eccezione di quelli in possesso di doppia nazionalità. È una furbata, in realtà viene data via libera agli oriundi che possono giocare anche in Nazionale. I club si scatenano, piombano in serie A decine di sudamericani con i dirigenti a caccia di un loro parente paisà, molti avanti con l'età e impreparati atleticamente ma arrivano anche fenomenali fuoriclasse, Maschio, Angelillo, Sivori, Grillo, Schiaffino, Vinicio, Pesaola, Ghiggia, alla Fiorentina Julinho, Lojacono e Miguel Angel Montuori. Suo padre Antonino Montuori è emigrato a fine anni '20 a Buenos Aires assieme al fratello Francesco, a Marina di Cassano facevano i pescatori, le cose non vanno subito bene, Francesco torna, Antonino resta, si trasferisce a Rosario, si sposa e nel '32 nasce Miguel Angel che cresce con la pelota fra i piedi nel Racing Avellaneda, straordinario, l'Università Catolica lo ingaggia e lui vince subito il campionato cileno. In Italia ci arriva accompagnato da Padre Volpi che convince i dirigenti della Fiorentina a visionarlo, per 12 milioni e con il numero dieci sulla schiena Montuori vince il primo campionato della Viola, seguito da altri quattro secondi posti, una coppa Italia, una coppa delle Coppe, una Mitropa e va in finale di Coppa dei Campioni. Dipinge, lo chiamano Michelangelo, fenomeno e oriundo, pronto per la maglia azzurra.

Seconda parte
Il problema della Nazionale resta la conduzione tecnica. La Federazione decide di affidarsi ad una bizzarra Commissione, qualcuno spinge per un ritorno di Vittorio Pozzo ma alla fine ai vertici finiscono il dirigente della Lega Calcio Giuseppe Pasquale, il presidente del Novara Luciano Marmo, quello dell'Atalanta Tentorio, l'ex campione del mondo Angiolino Schiavio e il segretario della Roma Aurelio Biancone, con un crogiolo di idee contrarie e confuse. Ad allenare gli azzurri scelti dalla Commissione, l'ex campione del mondo Alfredo Foni che in panchina ha vinto con l'Inter gli scudetti del'53 e del '54 con il famigerato catenaccio. Si arriva all'urna di Zurigo dove vengono decisi i gironi di qualificazione al mondiale in Svezia, l'Italia pesca Portogallo e Irlanda del Nord, la critica li valuta scarsi, passeggiate. Il 25 aprile 1957 all'Olimpico di Roma c'è l'esordio contro i nordirlandesi, in difesa il blocco della Fiorentina, segna subito Sergio Cervato su punizione, l'Irlanda del Nord prende tre pali ma non fa notizia, 1-0 e la Commissione convince Foni a non insistere con il catenaccio, siamo troppo più forti, spazio allo spettacolo.

Secondo segnale, sei pere dalla Jugoslavia a Zagabria in Coppa Intercontinentale a maggio, in campo nove giocatori della Fiorentina più Boniperti e il laziale Lovati in porta, Foni si spaventa, cambia tutto e arriva un umiliante 3-0 a Lisbona contro il Portogallo. Finimondo, Pozzo lapidario: Abbiamo toccato il fondo, eravamo i più forti, adesso siamo gli ultimi. Gianni Brera invoca il santo catenaccio con colate di piombo che fanno tremare la Commissione, non basta, il 4 dicembre la Nazionale vola in Irlanda e Foni ripropone il WM, tragedia, è la battaglia di Belfast. Arbitra l'ungherese Istvan Zsolt che non arriva mai. A Bruxelles è bloccato da pratiche burocratiche, manca un visto, gran lavoro delle diplomazie, raggiunta faticosamente Londra a frenarlo è la nebbia, i voli da Heathrow per Belfast sono sospesi. A raccontare l'assurdo è Walter Mitchell: Mio padre è lì in panetteria che sta lavorando quando irrompe la polizia che gli ordina di mollare tutto e dirigersi immediatamente a Windsor Park, deve arbitrare Irlanda del NordItalia alle 14,30. Lo scortano fino a un paio di chilometri dallo stadio, poi le vie sono intasate di tifosi, non si passa, se la fa a piedi. Tommy Mitchell arriva, si gioca? Non se ne parla proprio. La federazione irlandese spinge, lo stadio è colmo, l'Italia non ci sta, parte la ritorsione, loro protestanti, noi cattolici, loro offesi, noi irremovibili a non accettare la direzione di un britannico che consente gioco duro e cariche al portiere, ad aggravare la situazione un'intervista del sudafricano e nazionale azzurro Eddie Firmani che presenta il nostro calcio come malato, drogato e vergognoso.

Si decide di disputare comunque un'amichevole, agli irlandesi non piace la nostra nazionale gonfia di oriundi, fischiano il nostro inno, il campo una distesa di fango. Finisce 2-2 con una battuta di caccia agli italiani, i tifosi scavalcano la rete, invadono e picchiano forte, ci battiamo ma sono 50mila contro undici, più di un azzurro sparisce sotto una gragnuola di colpi, la polizia non interviene, sono i nazionali irlandesi a salvarci, l'unico illeso è Chiappella, era espulso. Quel 2-2 non vale. Battiamo il Portogallo a Milano ma con Ghiggia, Schiaffino, Da Costa e Montuori in attacco perdiamo 2-1 nella ripetizione a Windsor Park. Fuori dal Mondiale, quel 2-2 nella battaglia di Belfast ci avrebbe qualificato, dilettanti in tutto, e mentre si cercano papà e nonni di Sivori e Angelillo, tutta la colpa cade sugli oriundi, loro non amano la nostra bandiera. Eppure Miguel Angel Montuori è l'unico che quel giorno durante l'esecuzione dell'inno a Windsor Park si è emozionato e pianto come un bambino.

Fa la sua ultima presenza in azzurro a Vienna due mesi dopo, unico oriundo a indossare la nostra fascia di capitano, lui figlio di emigranti napoletani nato lontano, ma più italiano di tanti. Il 25 marzo ore 20,45 Italia-Nord Irlanda qualificazione mondiale.

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