Un portiere da pallone d'oro per un torneo senza talenti

Messi, Ronaldo e la Spagna tradiscono, Neuer il simbolo del trionfo tedesco Dramma Brasile, umiliato dai panzer. La povera Italia affonda con il suo ct

Quell'aureola di luna, dietro al Cristo Redentore sul Corcovado, resterà l'immagine, la foto, più suggestiva dei mondiali del Brasile. Quasi li avesse scritti una mente divina. Eppur tutto è stato terribilmente terreno. E contemporaneo. Contemporaneo il calcio che ti sazia, ma non ti affina il palato. Contemporanea quell'Italia così devastata dalle sue contraddizioni. Umiliata da Costarica, demolita dall'Uruguay. Italia di Prandelli a brandelli, mai fu immagine più cruda e realistica. Hanno fatto danno gli errori del ct, l'incapacità dell'intuire i rischi di un ritiro isolante ma non isolato, la mediocrità calcistica e morale di metà spogliatoio. Una sola sintesi: il ct deve fare il ct, la vecchia guardia giocare e non comandare, i bluff lasciati a casa.

Infine, contemporaneo il puzzle degli incastri fra il potere della forza fisica e del gioco manipolato dagli schemi, prima che dal talento, fin a quell'attimo, ultimo e decisivo, che si è preso la rivalsa con la follia calcistica di Mario Goetze, il solo tedesco che andava a champagne anzichè a birra. Però, che dire? La vittoria mondiale della Germania ha onorato il gioco del calcio, non certo assecondato fantasia e canto libero.

Cos'altro tenere nel libercolo della memoria? L'eterno drammone attorno ad una sconfitta dei soliti noti. Senza neppur troppa fantasia nell'enfasi, abbiamo tramandato la storia: dal Maracanazo del 1950, che distrusse un popolo, al Mineirazo che ha distrutto soprattutto un sogno. Il Brasile è riuscito a ripercorrere un ricordo calcisticamente tragico e leggendario. Il 7-1 subito dalla Germania resterà l'intramontabile fotogramma di Brasile 2014, una comica involontaria quel sette, sventolato con le due dita, da Felipe Scolari, profeta del cataclisma che stava per finirgli addosso. Il Brasile non è stato grande nel giocar calcio: mancava il talento, dov'era la bontà pedatoria? Oggi c'è Fred dove un tempo c'erano Pelè e i suoi fratelli. Eppure anche questa Seleçao ha trovato modo per essere grande nel tempo, tanto da rubar scena alla Germania. Non parleremo di Neymar, ma certo di quelle facce allucinate, del pianto di Thiago Silva, del catastrofico imperversare di Toni Kroos.

Il destino gioca con i destini e, qualche volta, sconfigge perfino i vincenti. Oppure ci sorprende. Manuel Neuer, paratutto davvero uber alles, rischia di segnare e disegnare la sostanza del mondiale: un portiere primo della lista per vincere il pallone d'oro è un indizio dei tempi e dell'involuzione. Aspettavamo Messi e Cristiano Ronaldo, le meraviglie argentine (Aguero, Higuain, Lavezzi), credevamo negli olandesoni, abbiamo compreso che la Spagna era alla bandiera bianca e che Balotelli, Fred, Diego Costa avrebbero regalato flop lunari, e ci siamo trovati a contare la bravura di una serie di numeri uno: Neuer, eppoi il costaricano Navas, il messicano Ochoa, l'argentino Romero, il cileno Bravo, il colombiano Ospina. Portieri alla riscossa, quando mai avremmo pensato di vederli grandi in nazioni nate cenerentole per quel ruolo? Il calcio ti spiega che qualcosa non quadra. Si è perso il talento, la macchina da guerra tedesca ha integrato l'anima con i rivoli del calcio insegnato da maestri stranieri, qualità e quantità hanno stritolato la fantasia.

Il pallone ha cercato l'epica, ma ha trovato solo un new deal. Crollate Brasile, Inghilterra, Spagna e Italia, il mondo calcistico si è fermato a pregare in una chiesa, come quei brasiliani nel giorno del disastro. E Cristo si è fermato al Corcovado.

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