Il senso di Inter-Torino arriva quando tutti i protagonisti sono sotto la doccia. In sala stampa mettono fretta alle domande per Sinisa Mihajlovic perché c'è Luciano Spalletti in attesa. L'allenatore serbo non ci sta: «Perché Spalletti non può aspettare? Fatemi capire. Prego chiedete pure...». E l'allenatore del Toro lascia così il collega in attesa per altri cinque minuti buoni. In campo invece la squadra granata ha tenuto l'Inter sulle spine dall'inizio alla fine. Ne è scaturita una partita bella, vibrante, soprattutto equilibrata e aperta in cui il pareggio alla fine è anche il risultato più giusto. Tanto che Mihajlovic lo considera come «una vittoria», mentre rovina il pranzo domenicale a Spalletti: «Ci lascia l'amaro in bocca, anche se abbiamo sbagliato tutto quello che potevamo sbagliare anche nella gestione di alcuni palloni». L'Inter è stata imprecisa, un pochino confusa e così non centra la sesta vittoria in casa di fila, non sfrutta l'effetto San Siro con i 71.581 presenti che sfidano pioggia, vento e il primo freddo autunnale. Ma è soprattutto il manipolo di ex nerazzurri in maglia granata a gelare il popolo interista: Burdisso al debutto in campionato è il migliore, Ljajic non spegne mai la luce, onnipresenti Ansaldi e Obi (sfiora anche lo zero a due che avrebbe affossato l'Inter), mentre dalla panchina Mihajlovic ritrova il suo Toro e soprattutto il dna granata al momento giusto. A esaltare il tutto il bel gol di Iago Falque.
Non si può dire altrettanto di alcuni interpreti dell'Inter: da Miranda a Borja Valero, passando per D'Ambrosio e Gagliardini. A sorprendere è la superiorità a centrocampo per lunghi tratti della squadra di Mihajlovic dove Rincon calamita palloni, mentre Baselli è l'incursore. Ma Spalletti paga più di tutto la giornata no di Icardi che ha però l'attenuante di essere rimasto in campo nonostante una botta presa nel primo tempo e che gli farà saltare la convocazione con l'Argentina. Da qui i troppi errori (l'assist a Eder non basta a nobilitarne la prestazione) e il confronto a distanza perso con l'altro grande nove della contesa, Andrea Belotti, evidentemente non al meglio alla seconda partita dopo l'infortunio al ginocchio. L'Inter per una volta non può dirsi fortunata perché la traversa che Vecino centra dai 25 metri nel finale trema fino a notte fonda, ma serve solo a pareggiare il conto dei legni a favore e contro (8 a 8). Anche perché per Spalletti di sfortuna si può parlare solo per «quei tiri deviati fuori per pochi centimetri». Meglio consolarsi con il primo gol di Eder in campionato, all'impatto positivo dell'azzurro sulla partita, la conferma che anche in panchina c'è chi può rivelarsi un valore aggiunto. Perché Spalletti in questo ciclo di partite tra le due pause della nazionale, non ha mai cambiato l'11 di partenza. Un'insistenza per dare una base solida ma che sta presentando il conto. Nelle ultime cinque esibizioni, solo a Napoli l'Inter non ha preso gol e soprattutto non ha mai chiuso davvero la partita: dal derby alla Sampdoria per chiudere con Verona e Torino.
Proprio la difesa fino a qui è stata il vero punto di forza, capace di piazzare i nerazzurri alle spalle della capolista Napoli fino a ieri. Quando la Juventus si è presa il ruolo di prima inseguitrice, mentre i nerazzurri devono guardarsi dalle romane che hanno una partita in meno: la Lazio potenzialmente può piazzare il sorpasso, la Roma l'aggancio. Aveva ragione Spalletti alla vigilia che rispondendo a chi gli chiedeva di un pensiero scudetto aveva detto: «Prima dobbiamo essere sicuri di stare tra le prime quattro».
Figurarsi dopo non essersi regalati almeno un pranzo domenicale da prima della classe. E vista la frenata del Napoli sarebbe stata addirittura una sosta guardando tutti dall'alto insieme alla squadra di Sarri. Per dirla con Spalletti: «Occasione persa che lascia l'amaro in bocca».
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