Progetto coraggio nell’Italia dei vecchi

Andrea Stramaccioni è il coraggio che mancava al calcio italiano. Il suo e quello di Massimo Moratti

Progetto coraggio  nell’Italia dei vecchi

Andrea Stramaccioni è il coraggio che mancava al calcio italiano. Il suo e quello di Massimo Moratti. Troppo giovane? Lo diranno presto. Qualcuno lo dice già: lo vedono bruciato ancor prima di cominciare, lo immaginano sconfitto dal mondo che sta per inghiottirlo. Il presidente dell’Inter ha scelto la cosa più difficile: la passione al posto dell’esperienza, la luce negli occhi al posto del pelo sullo stomaco. Chi prevede una fine ingloriosa potrà anche avere ragione, ma non ha prospettiva. Stramaccioni è un progetto: bisogna crederci. Dicono: come farà a mettere in panchina uno come Zanetti che è capitano, ha vinto tutto ed è anche due anni più grande di lui? Non c’è una risposta perché non servono parole. Gli serve una società che lo supporti. È una faccia, è una storia, è un ruolo. È l’allenatore dell’Inter. Punto. Deve poter decidere, deve poter sbagliare, deve potersi rimettere al giudizio di chi lo paga e di chi lo segue. Non serve altro, se non la possibilità di lasciargli fare il suo mestiere.

Siamo un Paese che si lamenta costantemente della sua gerontocrazia. Diciamo: guarda gli Stati Uniti che hanno eletto alla Casa Bianca un Under 50, guarda la Spagna dove uno come Guardiola è stato preso dal nulla ed è stato messo ad allenare la squadra più forte del mondo. Ci riempiamo la bocca con le politiche per i giovani, gli incentivi ai giovani, gli aiuti ai giovani. Diciamo: largo ai ragazzi, poi diciamo «e però serve l’esperienza». E ovviamente non lasciamo che l’esperienza una la possa fare. Adesso che c’è uno pronto a dare a un ragazzo una cosa grossa c’è un mucchio di gente che già storce il naso: se, ma, boh. Scherzano, ridono, si danno di gomito. Con quest’Italia, Moratti e Stramaccioni hanno già vinto: chi non aspetta di vederlo in panchina e in campo prima di giudicarlo ha soltanto paura. È umano: il tempo che passa fa male. Allora li si vedono già i soloni della burocrazia regolamentare: «Non ha il patentino, non può allenare». Troveranno scuse. Cercheranno un alibi per loro e contro il suo potenziale successo.

Trentasei anni sono l’età giusta per tante cose, magari anche per arrivare in A dal nulla e diventare qualcuno.

Viene voglia di stare con lui, a prescindere. Perché ha gli occhi che trasmettono entusiasmo. Quello che c’è altrove e che non c’è ora né all’Inter, né in Italia. Stramaccioni è un simbolo, è un incentivo, è l’inizio di qualcosa di nuovo.

twitter: giudebellis

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