Il campionato è una bambola gonfiabile. Ci si abitua anche a quello in mancanza dell'oggetto vero, in natura. Non ci sono campioni di razza ma premesse e promesse. Non c'è nemmeno il pubblico, come all'Olimpico romano; lo Stato, per voce del prefetto della Capitale, annuncia la resa, non è capace di gestire l'emergenza e allora la respinge, chiude le curve e lascia a piede libero i delinquenti ma imprigiona i tifosi sani. Il derby, nonostante l'assenza di striscioni, bandiere, fumogeni e spogliarelli annunciati, è stato ugualmente bello e pieno di cose, compreso l'errore di Tagliavento per il quale le linee bianche che delimitano l'area sono convenzioni poco attendibili, dunque ha concesso un rigore invece di un calcio di punizione. Cose che capitano nel calcio senza dover pensare e scrivere di potere occulto e di grande vecchio.
Ma se ci si mettono anche gli arbitri e i loro assistenti allora la bambola si sgonfia. Giacomelli sabato sera ha diretto Milan-Atalanta come don Abbondio, il suo sodale Massa, a Empoli, non ha visto, ma peggio di lui l'assistente di linea, un fuori gioco colossale di Lichtsteiner sul terzo gol bianconero. Da tempo, per fortuna, non si parla di scandali arbitrali, forse perché sono cambiati gli attori in testa alla classifica e i grandi corruttori sono in difficoltà, ma il campionato è questo, si ferma adesso per dare posto alle solite amichevoli della nazionale di Antonio Conte che, ancora una volta, ha dovuto osservare un evento storico: un derby senza indigeni, nemmeno un romano in campo all'Olimpico. Il famoso campionato italiano è una fiera internazionale ma di ambulanti, non certo di grandi aziende. Ma non vorrei essere pessimista.
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