Per fare la rivoluzione servirebbero i rivoluzionari.
A chiacchiere, quelli della Juventus, sono da champions ma poi c’è il campo, c’è la partita, ci sono gli avversari e può capitare anche di buscarle, una, due, tutte le volte in cui il football ti sbatte in faccia una verità che è diversa dalle balle di propaganda. La Juventus ha anche avuto sfortuna ma anche questo è un segnale che andrebbe interpretato, appreso, digerito. Cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia, se non è Iaquinta è Toni, se non è Martinez è Pepe o Krasic o chi volete, basta scegliere anche ad occhi chiusi.
La Juventus è questa, roba piccola, non certo il miraqgio che aveva battuto l’Inter. Quella sera, chi conosce il calcio sapeva benissimo che si trattava dell’impresa ardita e fortuita di una provinciale contro una grande un po’ presuntuosa. Invece a Torino e nel Palazzo bianconero c’era stato anche chi aveva creduto a una svolta, chi aveva avuto la faccia tosta di rispedire al mittente, i saccenti critici come li definisce il diggì juventino, le note negative sulla squadra. Ieri sera i bianconeri si sono messi a litigare tra di loro anche per una rimessa laterale, giocando soltanto con il cuore e non con il cervello va da sé che il risultato tecnico e, poi, quello tattico è scadente, farfugliato, approssimativo. Nulla di nuovo, dunque, la Juventus seguita a scivolare, Del Piero spedisce i suoi messaggi relativi al contratto spiazzando la società che adesso dovrà decidere il quantum e la scadenza dello stesso. Davvero bravi, davvero esperti. E davvero furbo il capitano. Il pubblico di Torino, dopo sei mesi di cioccolatini si è svegliato e ha incominciato a fischiare, invitando i giocatori ad andare a lavorare. Bravi ma lenti anche i suddetti tifosi che hanno esaurito la dose di camomilla e di altre dolcezze. In altri tempi ci sarebbe poco da discutere: via l’allenatore ma non soltanto lui. Via anche chi non sa gestire questo gruppo se non con le carezze e le frasi di propaganda.
Oppure si cambi davvero, la Juventus cerchi un nuovo nome invece che un nuovo stadio, si chiami Pippo o Luisa, non importa, si metta in vendita perché viste le premesse e, anche le promesse, il tempo della speranza e della pazienza è scaduto. Alla prossima. Contro il Milan, oj basta là.
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