E adesso, come dicevano i diesse dell'altro secolo, è il momento di dividere i maschi dalle femmine. Il gioco si fa duro e i duri devono giocare. Se ci sono. Guardandoci in Giro, il quadro non si presenta molto incoraggiante. Duri ipotetici e sedicenti, molti. Duri veri, molti meno.
Da parte sua, questo finale non lascerà alibi: il terreno per fare cose enormi c'è tutto. Oggi cronoscalata del Grappa, domani gran galà sullo Zoncolan. Si sale, si sale sempre e continuamente. In testa, un'idea fissa: mettere in mezzo Nairo Quintana. Se la rabbia facesse classifica, Quintana sarebbe già centesimo a due ore dal leader. I rivali di tutte le nazionalità, dopo la sua furbata sullo Stelvio, gli hanno disegnato un ideale bersaglio sulla schiena e non vedono l'ora di impallinarlo. S'inventerebbero qualunque cosa per riprendergli la maglia rosa. La domanda è: quanta, di questa rabbia, si trasformerà in forza reale e fatti concreti?
Nell'ultima sgambata della vigilia, questa tappa verso il Rifugio Panarotta con Alonso ad annunciare per la duecentesima volta la nascita di un suo team, le risposte sono piuttosto monotone. Vince un colombiano (stavolta la miniatura Arredondo), il colombiano in rosa controlla agevolmente (Quintana), il colombiano sfidante si accontenta (Ciccio Uran Uran). In questo sobborgo di Bogotà che è ormai il Giro d'Italia, le uniche dissonanze riguardano Evans, che cede ancora, Basso, che va in fuga per portare a casa almeno un piazzamento, ma soprattutto Aru, l'ultima speranza tricolore, il solo a scattare in vista del traguardo e a guadagnare qualche secondo.
Tutto qui. Una rifinitura. Pare, si dice, che tutti corrano con il braccino in vista del terribile finale. E allora vediamolo, questo finale. La sensazione è che nessuno riuscirà più a rimettere in piedi l'armonia perduta. E' come quando la vigilia di Natale cade l'albero dal piedestallo, in un fragore di luminarie. E' come quando la donna delle pulizie urta inavvertitamente il tavolo e fa volare sul pavimento i tremila pezzi del puzzle appena finito. Non c'è più modo di rimettere a posto simili disastri in poco tempo. Per rimediare il cataclisma dello Stelvio non basterebbe un Giro intero, ricominciandolo da capo. Figuriamoci in due tappe finali, per quanto carogne.
Nairo Quintana, il 24enne con le rughe da 42enne, continua imperterrito con la politica dell'ineffabile pesce in barile. Se gli viene chiesto come viva il disagio di questa palpabile antipatia popolare, la risposta è ferma: «Sono molto felice per come i tifosi mi accolgono lungo le strade». Questo è vero: non saranno mai i tifosi del ciclismo a trascendere. Però il sospetto che Quintana viva in una bolla tutta sua, o piuttosto che faccia il finto tonto come martedì pomeriggio sullo Stelvio, è piuttosto fondato. Sembra sempre che viva in un'altra galassia, al di fuori e al di sopra di tutte le umane faccende, ma non appena la concorrenza si distrae un attimo è subito pronto a colpire. Anche alle spalle, se serve. Da qui, l'inevitabile freddezza per questa maglia rosa dei furbetti. Diciamola tutta: Quintana ha un solo modo per scalare le dure classifiche del gradimento e della simpatia, deve inventarsi due tappe d'autore. O almeno qualche numero d'alta scuola: come nella tappa dello Stelvio, ma senza imboscate da finto tonto. A lui la scelta: arrivare a Trieste nell'imbarazzo generale, oppure rifarsi un prestigio a colpi di imprese, per dimostrare che realmente è il più forte di tutti, senza trucchi e senza inganni.
E gli altri? Gli altri possono soltanto fargliela pagare, in senso buono. Tutti assieme contro il nemico comune. Una grande coalizione per rimettere a posto i conti. L'Italia intera sta con Aru, che di Quintana è coetaneo, anche se dimostra vent'anni meno. Per lui, l'umanista del gruppo, il podio sarebbe già un successo strepitoso.
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