Riecco Mou, solito furbastro che non fa nulla ma sembra faccia tutto

Il fotogramma più bello, e perfido assieme, è arrivato a venti minuti dalla fine, Ronaldinho, segnalato tra i presenti al Bernabeu ma disperso tra i trifogli, è uscito dalla sua partita mai incominciata, dondolando con la sua faccia strana, gli si è parato davanti Josè Mourinho, lo ha abbracciato, affettuosamente, per ringraziarlo di una serata così comica e inutile che nessuno, nemmeno il vate di Setubal, avrebbe mai potuto immaginare. Sono cose tipiche del repertorio di Mou, sono i pezzi che lo rendono unico, molesta l’avversario, lo stuzzica, lo provoca e poi lo copre di carezze. Al Bernabeu rivisto, allora, José che tutti, quasi tutti, conoscono, lo stesso di Milano, lo stesso di Londra, lo stesso di Oporto, irascibile e furbastro, gatto e topo, elegante con la sciarpa al collo e lo scarponcino di marca italiana, masticando un chewing gum per adeguarsi alle abitudini calcistiche, grigio nei capelli come grigio nell’abito con una orrenda camicia celeste per fortuna mascherata dallo scialletto annodato alla Mancini e questa è una provocazione.
Viste e riviste le sue posture, le sue astuzie, la protesta con l’arbitro per un fallo non fischiato, per una ammonizione che non arriva, la mimica un po’ goffa a eseguire con il piede, calciando nell’aria, un gol sbagliato da Higuain, le braccia aperte da sconsolato per un’altra gaffe dell’argentino vuoto e molliccio come molti altri tanghisti, la tattica di ritardare la ripresa dopo l’intervallo, come a San Siro, come allo Stamford Bridge, la sua truppa lungo il tunnel dello spogliatoio e lui solo e solitario, narciso in panchina, con i fotografi e le telecamere tutte riservate per lui, assorto, smorfioso, mentre trangugia l’acqua, mentre allunga le gambe, mentre non fa nulla ma sembra tutto, basta il movimento degli occhi, basta un sospiro e Josè torna Mourinho, il protagonista, lo special one, mica un pirla.
Dieci metri più in là la faccia di Allegri non teneva fede al cognome, si era allungata come quella cravatta troppo stretta, troppo sbilenca come il Milan del Bernabeu, toro sbalordito, mentre i toreri blancos si divertivano a ronzargli attorno, dopo averlo ferito due volte. Josè Mourinho sapeva come si batte il Milan, lo aveva dimostrato in un derby da dimenticare per il popolo rossonero, indimenticabile per la folla nerazzurra non ancora consapevole di quello di grandioso che sarebbe arrivato dopo, di più, di meglio.


Notte piena, dolcissima per il portoghese di Spagna, ha vinto ancora, come nella Liga, sta in testa alla classifica in casa e in Europa, è quello di ieri, di oggi e probabilmente di domani. Milano e San Siro lo aspettano, saranno fischi, gelosie, invidie, come sempre. Lui non cerca altro, il mare calmo non lo interessa, vuole la corrida e Madrid è la plaza ideale per un altro «titulo».

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