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Riforma, non rivoluzione. Ecco come Gravina vuole cambiare il calcio

La Figc inizia dai campionati, ma temi caldi sono la A con 18 club e l'equa spartizione dei diritti tv

Riforma, non rivoluzione. Ecco come Gravina vuole cambiare il calcio

La frase sembra presa in prestito dal politichese. E invece rappresenta qualcosa più di un annuncio. Ha detto Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio: «Faremo riflessioni sia sulla data di inizio del nuovo torneo sia sul format futuro». Noti gli scopi dell'improbabile rivoluzione: snellire il calendario della serie A con ritorni virtuosi per le coppe e per l'attività della Nazionale che nel 2021 disputerà l'Europeo. Per andare sul concreto c'è una sola strada che conduce a una drastica dieta dimagrante della serie A attuale da 20 a 18 squadre: ed è un percorso molto accidentato. Bisognerebbe deliberare, con un anno d'anticipo, 4 retrocessioni dalla A alla B e due sole promozioni dalla serie B in A vincendo le feroci resistenze delle due leghe. Il secondo obiettivo di questa rivoluzione, più volte accarezzata e poi riposta nel cassetto dai predecessori di Gravina, sarebbero i diritti tv da distribuire in maggiore dose ai 18 club. «Per realizzare una svolta del genere bisognerebbe avere i carri armati davanti a via Allegri (sede della Federcalcio a Roma, ndr)» il commento di un addetto ai lavori.

Il presidente Gravina, che è uomo concreto e può muoversi in questi mesi con lo scudo protettivo del Decreto Rilancio, ha in testa per luglio una riforma più morbida che tenga conto degli effetti devastanti del virus sull'economia del Belpaese e in particolare sulle aziende degli azionisti che reggono le sorti del calcio professionistico. Le attuali 100 società così distribuite (20 in A, 20 in B e 60 in Lega pro, serie C, suddivise in 3 gironi secondo aree geografiche) non sono più sostenibili. L'idea quindi, partendo dal basso, è quella di ripristinare l'area semi-professionisti, come una volta, dove far transitare 20 o 40 delle squadre di Lega-pro. Per ottenere tale risultato è indispensabile passare da una legge che rimetta in vigore lo status di semi-professionista. Alle loro spalle resterebbero i dilettanti dove negli attuali 9 gironi si stanno già registrando, per effetto del virus, numerose cancellazioni.

Lo scenario più attendibile è quindi il seguente: 60 società professionistiche divise in parti uguali tra serie A (20), serie B (20) e serie C (girone unico da 20) più eventuali due gironi d'elitè, una sorta di ex C2 riveduta e corretta. «È una formula magica, che replica quella dell'Europa» il parere entusiasta di Adriano Galliani, ad del Monza che si appresta a salire in serie B. La formula spettacolare dei play-off e play-out, prevista attualmente come piano B nel caso in cui la serie A riparta a metà giugno ma non concluda il torneo, non è applicabile alla stagione successiva 2020-2021 perché andrebbe a sbattere contro Europeo e Olimpiadi che hanno già prenotato le date estive (il torneo continentale parte l'11 giugno, il secondo evento mondiale è programmato per il 23 luglio). Per sgomberare il terreno dall'ultima mina sistemata lungo il cammino che porterà all'incontro col ministro Spadafora del 28 maggio (Gravina sta preparando il secondo protocollo da girare subito ai club interessati lunedì), la Federcalcio è intervenuta con una nota ufficiale per smentire «ricostruzioni imprecise e incomplete» e ribadire che «non è stata approvata alcuna norma che esonera le società dal pagamento degli stipendi» disinnescando così l'allarme lanciato dall'Aic, il sindacato calciatori.

La discussa materia dei tagli sarà negoziata da ciascun club con i propri tesserati.

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