Rigori veri o fasulli la Juve resta

sempre la più forteTotti copia dal suo «mago» Zeman Conte o Allegri, numeri da paura La Roma è bella in Italia e in Europa produce tanto ma non raccoglie

«Vincono sempre perché aiutati». Lo diceva Zeman nel 1998: Juve-Roma 3-1. È cambiato poco: nelle parole, nelle accuse, nei risultati (3-1 allora, 3-2 domenica). Totti ha fatto buon uso degli insegnamenti oratori del maestro, la Juve avrà pur scoperto l'erede di Moggi (Travaglio dixit) ma anche stavolta ha dimostrato di essere tutta sostanza, la più forte del nostro campionato, al di là di rigori veri o presunti e perfino di un gol (Bonucci) che doveva essere annullato. Per una volta non è solo il risultato (vero o fasullo) a fare la differenza. La classifica ricorda che i punti in più sono 2 rispetto all'anno passato (quelli ottenuti dal gol di Bonucci che ha evitato il pareggio), ma la Roma ne ha 3 in meno: bastava vincere a Torino, direte, ma tutto quello spreco e quel lento morire in partita! Qualcosa non torna. Non solo rigori contro.

La Juve ha mostrato testa, cuore e giocatori decisivi. La Roma ha dimostrato voglia, una miglior maturità rispetto al match dell'anno passato, ma ancora minor forza interiore. Onestissimo Maicon nella valutazione: «Meritavamo il pari, ma loro hanno ancora qualcosa in più. Sono rimasti gli stessi». Talvolta un po' di onestà intellettual-calcistica non fa male. Parlano anche i gol: l'anno scorso la squadra di Garcia ne aveva subito appena uno e segnati 17, quest'anno il rapporto è peggiorato 11 a 4 e non raccontiamo che è tutta colpa delle tre reti «fasulle?» juventine. Si sono viste crepe pure a Torino: bastava una miglior mira bianconera. Invece la Juve si è migliorata: l'anno passato 11 segnati e 4 subiti, oggi 13 realizzati e 2 incassati. Difesa ancor più imperforabile, nonostante la Roma le abbia tolto quello zero al passivo che durava da più di 800 minuti.

Il campionato potrà dirci tutto e il suo contrario. Ma difficilmente troveremo una Juve allo sbando. E facilmente ci ritroveremo a parlare di sfida scudetto nel ritorno a Roma.

Non abbiamo nulla di meglio. La mediocrità della serie A dovrebbe indurre a gridare allo scandalo molto più di qualche debacle arbitrale. Ed, invece, tutto questo passa in secondo piano. Ci lustriamo gli occhi con un giro d'Europa andato meno peggio del solito, ma non guardiamo alle patacche. La Juve ancora a testa in giù in Champions, la Roma ha mostrato lo stesso difetto accusato domenica a Torino: produce tanto, induce alla tentazione, gioca, rischia di segnare e piace ma non raccoglie come deve. E la virtù si tramuta in vizio.

Povero campionato, come se la passa male. Milano è immonda, deficitaria, da rabbrividire per risultati e per valori tecnici. E se qualcuno è più bravo a far suonare le fanfare, non può cambiare le impressioni del campo: difese e centrocampo di Milan e Inter sono una presa in giro alla storia, alla tradizione, al calcio che Milano si è sempre gustata. Napoli è eternamente sul filo senza rete e a San Siro, fra 15 giorni, dirà se l'equilibrio si è stabilizzato o meno. Fiorentina e Lazio scortano le presunte grandi, non di più. In testa alla classifica cannonieri c'è un piede d'oro, elogio alla qualità: Carlitos Tevez con 6 reti. Ma prima di trovare un romanista dobbiamo scorrere almeno 14 nomi e scendere di tre scalini (2 reti Destro e Florenzi). La superiorità si esprime in tanti modi.

La Juve non ha trovato solo la via di rigori discutibili. In partita la squadra di Allegri ha giocato il primo tempo meglio dell'anno passato, poi ha subito un po' ma nel finale la Roma si è spenta come una fiammella e la Signora ha continuato a tener vigorosa fiamma. Prendiamo tutti nota, senza chiamare ad aggravante la natura selvaggia della partita.

La Juve ha cambiato allenatore: al posto del mitico(?) Conte ne è arrivato uno cacciato dal Milan. Eppure il Max Allegri sta tenendo botta con i ruolini folli imposti dai risultati del predecessore. E qui meriti e demeriti vanno divisi fra bravura bianconera e pochezza del campionato. La Roma ha mantenuto il suo filosofo francese: continuità che le ha portato un vantaggio. Mal sfruttato. Soprattutto nel confronto diretto. Allegri ha mantenuto nervi freddi, anzi si è precipitato a dividere animosi giocatori. Garcia si è fatto pescare nella cafonata, detta all'italiana. Con i fatti ha detto quanto Totti ha recitato in prosa: roba da peggiori in campo. Punito dal giudice con un'ammenda e una ammonizione con diffida.

Un po' poco per un gesto che vale quello delle manette, nella sua

accezione filosofica. Ma qui la Roma non si lamenterà. E per usare una espressione cara al tecnico romanista («Questa partita fa male al calcio italiano»), questo Garcia, quello della volgarità, fa male al calcio italiano.

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