Rio, fioretto: argento per Di Francisca

L'atleta di Jesi è stata sconfitta in finale dalla russa Inna Deriglazova con il punteggio di 12-11 e deve accontentarsi della medaglia d'argento dopo l'oro conquistato nella stessa categoria a Londra 2012

Rio, fioretto: argento per Di Francisca

L’ultima volta che l’hai vista era sdraiata sul sedile posteriore di un minibus. Si tornava da Casa Italia verso Barra da Tijuca, il quartiere olimpico. Prima di scendere dice: “Prenota la finale”. L’oro? “Quello non si può prenotare”. Elisa Di Francisca è stata di parola. Non ha promesso l’imponderabile. Non è riuscita a riprendersi l’oro di Londra. Si è trovata di fronte un’avversaria scorbutica, che fa una scherma essenziale, ma che ti mette all’angolo. Qualche volta, purtroppo, gli jedi perdono, di solito perché i sith sono più furbi.


L’attesa sa di discoteca, quando parte una nostalgica Macarena, ma quando entrano sulla pedana parte la musica di Guerre Stellari. È una sfida tra jedi e sith, e che Elisa non sia il lato oscuro della forza sembra chiaro. L’altra è la russa Inna Deriglazova. La prima stoccata è di Elisa, dritta al petto. “La mia forza è la tecnica, posso colpire sempre nello stesso punto”. Sul tre a zero il palazzetto Carioca 3 è un coro. Italia. Italia. Sale, sale ed è come un’onda. Non farla avvicinare, tentare l’affondo a sorpresa, evitare il corpo a corpo, tenere alla distanza. È invece no. La russa si prende la pedana, stocca, aggredisce e spinge Elisa verso la terra della paura, quando il braccio di fa pensate e la mente perde il contatto con la parte migliore di te. Inna Deriglazova sente che sta portando la sfida dalla sua parte. Recupera, si stacca, va in vantaggio, fa il vuoto, i punti di distanza diventano tre, quattro, cinque. Sembra davvero tutto finito. E se li non i fosse Elisa forse sarebbe proprio così. Ma lei non è una che si arrende. Ha carattere. Ha coraggio.

“Nasco ribelle e lo sono stata a lungo. Era la mia indole. Sono umile, ma per carattere sempre poco incline alle regole. Non ho mai voluto che mi si imponesse nulla. Reagivo d’istinto e poi magari ci stavo male e chiedevo scusa. Ora sono più posata, sto cambiando: prima di alzarmi e andare via oppure prima di aprir bocca ci penso un po’ di più”. Qui serve un colpo d’indisciplina, una rivolta, una di quelle rimonte che sanno di leggenda. È quello che accade. È dietro Elisa c’è tutta la platea italiana, magari c’è perfino Arianna Errigo, da quattro anni la regina del fioretto, che è caduta quando stava in netto vantaggio e per la tensione di una maledetta e sfortunata corsa all’oro. Quando mancano una manciata di secondi alla fine Elisa Di Francisca sta a una sola stoccata dalla russa. Serve un miracolo. Non ci sarà. Il tempo corre troppo velocemente. È finita, con un argento amaro. Qualche giorno fa aveva rivelato in un’intervista su Vanity Fair la sua filosofia di vita. È racchiusa in una poesia di Pablo Neruda, è il primo verso è tatuato sul suo avambraccio.

“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce”. Non si può sempre vincere.

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