Brasile 2014

Argentina, destino Maracanà. L'Olanda per cambiare il finale

L'albiceleste può chiudere il cerchio tornando nello stadio dell'esordio. Sabella si copre senza Di Maria. Van Gaal "studia" un'altra rivincita

Lionel Messi in allenamento a San Paolo, durante i mondiali
Lionel Messi in allenamento a San Paolo, durante i mondiali

Nostro inviato a Rio de Janeiro

L'Argentina per tornare al Maracanà, dove ha esordito contro la Bosnia, e affrontare una sfida storica già scritta dal destino. Quella contro la Germania nella replica dell'ultima finale giocata (e persa) dagli albiceleste a Roma, 24 anni fa; ma anche quella vinta quattro anni prima a Città del Messico e diventare così la più giocata nella storia della Coppa. Ma prima di pensare al Maracanà per gli argentini c'è un altro problema, che si chiama Olanda. Da sfidare, oggi a San Paolo, in un'altra rivincita: quella della finale del '78, il primo Mundial vinto dai biancocelesti.

Il Brasile teme una vittoria Argentina in questi «suoi» mondiali come si può temere la peggiore delle Cajenne. Lo si è visto, detto e scritto fin dai giorni precedenti l'inaugurazione. Oggi siamo al match -1 e il tifo locale è più che mai tutto per gli orange. Gli olandesi si sono peraltro fatti amare sempre di più: sono stati l'unica delle 32 nazionali a scegliere una spiaggia di Rio de Janeiro per il ritiro. Hotel Cesar Park, fronte mare a Ipanema, alle spalle il quartiere più europeo della città, piacevole per andare in giro per bei negozi di giorno, tra Nike store e Havaianas, e a spasso tra locali e ristoranti fino a tardi la notte. Non a caso, fuori dal Cesar Park, stazionavano regolari grappoli di ragazzotti di ogni risma, in cerca dei selfie di questa prima Coppa 2.0, ma anche di vecchi e sani autografi, buoni soprattutto per i bambinetti locali, molto meno tecnologici. Gli arancioni sono stati al gioco, quando uscivano a fare due passi, tanto da essersi assicurati il titolo di «meninos dos Rio», ragazzi di Rio, anche grazie alla loro visita, qualche giorno fa, alla favela del Morro Dona Marta. Robben la firma più ricercata: «Mi piace molto - ha detto Davi, piccolo e scuro, di 8-9 anni, dopo averne conquistata una - e ora l'Olanda batterà l'Argentina 3 a 0». Insomma, nessuna nazionale meglio degli orange per il ruolo dell'anti-Messi.

Ora a Rio li aspettano per un ritorno che significherebbe la fine di un incubo. Anche se il Cesar Park è stato requisito dalla Fifa (non senza le lamentele del ct Van Gaal) e la nazionale vincitrice della semifinale di San Paolo dovrà spostarsi alla Barra da Tijuca.

Il contraltare è il ghetto dei tifosi argentini, chiusi nel sambodromo Anhembi di San Paolo. Si è perso il conto di quanti hanno varcato il confine e percorso 3-4mila chilometri con ogni tipo di mezzo. Almeno 70mila, si dice.

Di questi, oggi all'Itaquerao ne sono attesi 20mila: tanti sono i biglietti assegnati loro dalla Fifa. Invece, nello stadio dove sfilano i carri a Carnevale, ci stanno gli altri, con i loro camper e le parabole e le tv. Controllati a vista dalle varie polizie - militare, civile, federale, locale - che da qualche giorno temono incidenti. Le nazionali non hanno mai dato i problemi delle partite tra club. Ma qui, con l'Argentina in Brasile, il livello d'allerta è salito ai massimi. A Brasilia, per la sfida con il Belgio, alcune macchine argentine sono state oggetto di lanci di pietre. Il coro «Brasile decime que se siente», intonato dai tifosi ma poi anche dai giocatori - nel testo ricorda la sconfitta del '90, il vantaggio negli scontri diretti (35 a 34) e che comunque «Maradona è più grande di Pelè» - ha generato tensione al punto che ieri si discuteva, nel sambodromo, se cantarlo ancora o limitarlo all'interno dello stadio, per evitare provocazioni.

Naturalmente oggi c'è anche la partita. Che entrambi i ct stanno tenendo più nascosta possibile in quanto a formazione e tattica, con allenamenti a porte chiuse. Di certo, per il ct albiceleste Alejandro Sabella, il tema è la difesa: contro l'attacco più prolifico del torneo, 12 gol all'attivo, potrebbe decidere di lasciare solo un attaccante, Higuain, a far compagnia a Messi, sacrificando Lavezzi e tornando a un centrocampo a 5, per di più orfano di un giocatore offensivo come Di Maria. Uno schema che il fuoriclasse argentino (ieri De Jong è tornato ad allenarsi proprio in funzione anti-Pulce) non gradisce.

Ma Robben e Van Persie sono una minaccia che valgon bene un Messi.

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