Rodriguez, quel ragazzo per bene

Rodriguez, quel ragazzo per bene

Adesso che in Brasile è spuntata una stella, sono in molti a battersi il petto e a confessare puntuali rimorsi. Specie dalle nostre parti. Adesso che James Rodriguez, colombiano, 23 anni da compiere il 12 luglio, giorno destinato alla finale per il terzo posto, uno dei gioielli esposti in vetrina dal Monaco di Ranieri e del magnate russo Rybolovlev, ha ricevuto il riconoscimento pubblico della Fifa (miglior calciatore della fase a gironi) e il suo nome è lassù in cima alla classifica degli uomini d'oro del mondiale, è possibile ricostruire il suo cammino che dall'Argentina lo portò in Portogallo sfiorando lo sbarco in Italia. «Nel gennaio del 2010 andai a Mar del Plata per conto dell'Udinese e lavorai per raggiungere un accordo tra i due club: la cifra fissata, 4,5 milioni di euro, venne considerata in Friuli troppo alta e il trasferimento saltò» ecco la ricostruzione di Bruno Carpegiani, agente Fifa e nipote d'arte (suo zio Biagio Govoni, storico ds di Spal e poi anche lui procuratore), romagnolo di Forlì, legato ai club friulano per via della procura di Totò Di Natale. Uscita di scena l'Udinese (che fa della scoperta a prezzi stracciati e successiva valorizzazione dei talenti il suo business dichiarato, ultimo esempio il centrocampista del Cile Arianguiz, riscattato dal Porto Alegre per 8 milioni di euro), toccò alla Juventus del dopo Moggi. Castagnini andò in Argentina a sondare con la famiglia del giovanotto, Alessio Secco, ds dell'epoca, al telefono da Torino parlò con James: ogni dettaglio stabilito. «Poi la Juve incappò in una striscia di partite dall'esito negativo e quella trattativa rimase chiusa in un cassetto» il ricordo di Carpegiani. Riaperto durante l'estate scorsa, da Paratici, l'occhio esperto di Marotta sul mercato: fu costretto in ritirata dalla valanga di milioni, 40, con cui il Monaco inondò le casse del Porto e le tasche di Mendes, il potentissimo agente portoghese.
Una stella, al mondiale, non può spuntare all'improvviso e per caso. Quel gol, il primo, da infilare sotto la traversa del portiere uruguagio, è stata una prodezza tecnica, balistica che può fiorire non certo come un fiore in un deserto, è il certificato d'origine controllata del talento di James Rodriguez. Che ha anche parentela calcistica tra i Cafeteros (sua sorella ha sposato il portiere Ostina), una fede religiosa testimoniata dal suo ultimo tweet («l'allegria e della Colombia, la gloria è di Dio») e un esercito di ammiratori che è via via diventato sempre più nutrito, vip compresi. Come l'asso dei Miami Heat LeBron James («sto guardando la Colombia ai mondiale e penso di aver trovato il mio calciatore preferito della coppa del mondo») o la cantante Shakira, compagna di Piquè, libera di tifare per la sua nazionale ora che la Spagna è tornata a casa.
Non può spuntare all'improvviso James perché è un ragazzo con moglie e figlio, la testa sulle spalle, da sempre ha inseguito e fortemente voluto l'appuntamento con la storia. Rappresentato dalla marcia trionfale della nuova Colombia e dai quarti di finale con il Brasile meno spettacolare e convincente degli ultimi tempi.

Un morto (una donna uccisa da un proiettile vagante) e 5 feriti sono stati il bilancio dei festeggiamenti, concentrati nella capitale Bogotà, dopo il 2 a 0 sull'Uruguay: figurarsi se dovessero addomesticare il Brasile!
James Rodriguez non ha mai fatto “sparate”, non ha mai proclamato d'essere il migliore della sua generazione, non ha mai neanche protestato per qualche esclusione nel Monaco a inizio stagione e forse si è preparato col puntiglio del veterano, ignorato lungo tutta la marcia d'avvicinamento (ha sempre segnato, nelle amichevoli e nelle quattro sfide del torneo) dai media che avevano titoli e foto solo per Falcao, il grande assente finito in un angolino. È un ragazzo e un campioncino d'altri tempi insomma del quale il calcio ha un disperato bisogno.

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