Se un marziano fosse sbarcato allo stadio Olimpico ieri pomeriggio, avrebbe pensato di essere finito nel bel mezzo di una partita «balneare» e non del derby di Roma che ha 86 anni e mezzo di storia: pochi spettatori sugli spalti (appena 22.000, record negativo per la stracittadina), niente scenografie e di fatto una sola squadra in campo, quella di Spalletti, tranne 15 minuti a metà ripresa in cui aveva deciso di staccare la spina con un po' di anticipo e già due gol di vantaggio.C'era una volta il derby degli sfottò, degli scudetti contesi, dei carneadi a segno, delle bandiere (Totti e De Rossi ieri sono rimasti in panchina) e dei festeggiamenti particolari, ultimo proprio il selfie alla Sud del capitano. Oggi resta una stracittadina che non accende i tifosi per motivazioni varie: una, comune, la protesta contro le barriere all'interno delle curve, sempre vuote dall'inizio della stagione; l'altra, più di sponda biancoceleste, il dissenso contro la società ritenuta colpevole di aver indebolito la squadra (ieri in 400 hanno manifestato a Formello dopo la disfatta con lancio di sassi e mattoni, un agente ferito e alcuni fermi); l'ultima, la differenza tecnica e di classifica - 21 punti di distacco tra Roma e Lazio dopo ieri -.Eppure la partita dell'Olimpico regala cinque reti, quattro pali (due per parte) e un po' di giusta tensione in campo, che porta a sei ammoniti e a un espulso proprio sui titoli di coda. Ma nonostante la fiammata laziale dopo il 2-0 della Roma, non c'è stata mai l'impressione che il verdetto del campo potesse cambiare. Questione di differenza tecnica, si è detto, ma anche di motivazioni. Altissime quelle della truppa di Spalletti, spinta dalla possibilità di blindare il terzo posto, ma anche di iniziare a insidiare il secondo dopo il ko del Napoli a Udine. Bassissime quella della Lazio (da oggi in ritiro punitivo a Norcia) che non riesce a mettere in campo nemmeno l'orgoglio.Il resto lo fanno le scelte dei tecnici. Pioli, già penalizzato da una difesa giovane ed esordiente, decide di tenere fuori per un'ora Klose e Keita, gli unici che riusciranno a impensierire la Roma. Il pesante ko gli costa il posto, al suo posto in panchina andrà ora Simone Inzaghi, tecnico della Primavera. Spalletti si affida al tridente leggero, lasciando in panchina Totti e De Rossi. Altro segno di un derby ormai lontano dai simboli. Il risultato è un poker che nel derby alla Roma mancava dal 2002 - in quel pomeriggio drammatico per la Lazio e per Nesta umiliato da Montella che di reti ne segnò cinque -. El Shaarawy continua il momento positivo (6° gol in nove partite), Dzeko si toglie la soddisfazione di segnare ai biancocelesti sia all'andata che al ritorno (unica squadra in stagione) e dopo il break di Parolo (terzo gol in annata alla 200ª in A), i due gol di pregevole fattura di Florenzi (primo gol nel derby nel giorno in cui è capitano) e Perotti, uno degli uomini in più di questa striscia positiva della Roma. «Triste giocare un derby a curve vuote, sarei ipocrita a dire che mi è piaciuto - l'amara considerazione di Florenzi, il predestinato all'eredità dei romani romanisti -. Raccogliere il testimone di Totti? Non penso sia così, sarà Francesco a decidere il suo destino, e poi c'è Daniele (De Rossi, ndr), se giocava era lui il capitano».«Sono il primo dispiaciuto a non aver messo in campo Totti: doveva fare la sua parte in campo, ma faccio l'allenatore e devo considerare altri aspetti», così Spalletti che sull'argomento non fa che rafforzare il concetto già espresso.
E sul secondo posto ammette che «la Roma deve farsi trovare pronta, avendo anche la sfida diretta con il Napoli all'Olimpico» ma anche che «quattro punti di differenza restano tanti». Alzare l'asticella non è un peccato di presunzione dopo nove vittorie e un pari nelle ultime dieci sfide.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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