La collina sopra il Sarria di Barcellona bruciava sterpi e alberi per la canicola che sparava quaranta e passa gradi. Picchiava forte il sole il cinque di luglio dell'Ottantadue e la tribuna stampa degli italiani era già propensa a chiudere la valigia, dopo aver effettuato, in mattinata, un giro veloce e rassegnato al Corte Ingles, per raccogliere gli ultimi souvenir da portare a casa. Il Brasile di Zico e Socrates era troppo forte, dicevano i docenti, ne ricordo uno molto eccitato per i verdeoro, il bravissimo Giorgio Reineri de Il Giorno, compagno di banco di Gioan Brera.
Dunque Arturo Zico sostiene che quella vittoria italiana fu la rovina del football. Segnalo, a proposito di rovina, che il centravanti del Brasile si chiamava Sergio Bernardino, in arte Serginho: centonovantuno centimetri di altezza e un giro vita da Platinette. Non toccò un pallone e venne sostituito da tal Paulo Isidoro. Era quella la vera rovina di un grande Brasile ma tant'è, bisogna capirli i pentacampeon, la loro torcida, con femmine abbaglianti in tutti i sensi, frastornava i timpani e non soltanto quelli, bastava loro un punto per passare il turno e sbarazzarsi degli italianucci. L'afa prese un po' tutti agli occhi e al cuore, Giovanni Arpino mordeva il suo bocchino in madreperla per soffocare i dolori del trigemino, Alfio Fredi Caruso era siculo e sicuro della vittoria nostra, la pipa di Brera e il toscano di Mario Soldati mandavano al cielo di Spagna segnali di fumo grigio. Di sotto Gentile berciava contro noi giornalisti e Bearzot masticava tabacco e rabbia.
Quando il dottor Socrates pareggiò il vantaggio di Rossi, la corrente intellettualoide antiazzurri della nostra ciurma in Spagna, fece partire i botti: «Adesso ce ne fanno quattro!». Fu Rossi a farne tre, ad Antognoni ne fu annullato uno regolare, Zoff parò in apnea, sulla linea bianca il colpo di testa di Oscar Bernardi che ci avrebbe condannati, avendo, i brasiliani, accorciato le distanze con Falcao.
Trent'anni dopo, Arturo Zico dimentica che quel Brasile aveva una spocchia spensierata (così Brera, pensate oggi che cosa ha provocato il sostantivo spensieratezza), la squadra campione di sempre pensava di farci fessi, mai marcò l'hombre del partido, Paolo Rossi, ritenendolo ininfluente dopo le modeste apparizioni d'avvio. Pablito rispedì a casa i presuntuosi e l'Italia giocò un gran football. Si disse, scherzando, che da quel giorno i brasiliani quando rompevano le uova vi trovavano tre rossi.
Dopo l'Argentina fuori anche il Brasile, il Sarria era il vero tempio azzurro. Un anno dopo, Zico scelse di andare a cercare la fortuna, i soldi e i gol nel Paese e nel calcio che provocarono la rovina. Udine gli offrì gli onori. Trent'anni dopo questo è il ringraziamento.
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