
Nessuno lo dice ma la vera incognita è Alexander Bublik, che ad Halle ha battuto prima Sinner e, in finale, un Medvedev che pure era in formissima. "Spero che a Wimbledon capiterai nella parte di tabellone con Sinner o Alcaraz", gli aveva detto lo sconfitto. È andata così.
Ma per molti il pensiero va a Bublik: si sapeva che aveva un potenziale mostruoso e un talento donato dal cielo, ma si pensava che avrebbe continuato a gettarlo al vento. Ora però che si è messo di buzzo buono, gli esiti sono impressionanti. È esploso anche come personaggio, un'antitesi del tennis moderno: le percentuali, i video del prossimo avversario, mille allenamenti sul gioco di gambe perfetto, il mental coach con l'auricolare, e lo sguardo all'allenatore a ogni punto: nulla gli è più estraneo. Lui è una divagazione, un errore di battitura, o, con meno originalità, un comico tragico, un buffone shakespeariano che ti fa ridere ma tra le righe (del campo) ti sussurra la verità.
Inquadriamolo. È nato nel 1997 a Gatchina (Russia) ma si è trasferito sotto bandiera kazaka per la seguente motivazione: "C'erano meno concorrenti". Poi, ancor più di Kirgyos, è diventato l'imprevedibilità fatta tennista: neanche lui sa che colpo tirerà un secondo dopo. Ha detto: "Odio il tennis con tutto il mio cuore". L'ha ripetuto in varie lingue e conferenze stampa, specificando: "Se potessi guadagnare la stessa cifra facendo altro, non giocherei nemmeno per sbaglio". Calcolate che tutt'intorno la retorica del "sono fortunato" e "amo ogni istante in campo" è la regola assoluta e corretta.
Non quadra una sola cosa: può giocare come un dio, è un talento assoluto, può fare qualsiasi cosa con naturalezza e disinvoltura imbarazzanti. Serve sopra i 220 km/h, tira la seconda anche più forte della prima, ha tocchi delicatissimi, smorzate assassine e una visione del campo assoluta. Poi vabbeh, spesso fa il contrario di quello che serve per vincere: continuità zero, e la continuità nel tennis è tutto, altrimenti nella classifica precipiti. Quante vittorie buttate via. Nel 2023, a Montpellier, in semifinale contro Filip Krajinovi, mise a segno 14 ace consecutivi. Non è un refuso: 14 di fila. Ma la partita? Persa. Perché poi ha cominciato a scherzare, fare il coglione, fare i servizi dal basso, ammiccare al pubblico con colpi suicidi. Sempre a Montpellier, l'anno prima, aveva vinto il suo primo titolo ATP battendo Alexander Zverev. A fine match, davanti al pubblico, disse: "Siete venuti a vedere lui, avete visto me". E intanto rideva, ma di una risata sana, mai sardonica o sbeffeggiante. È capace di giocare una serie sterminata di servizi vincenti e poi, con aria annoiata, nel momento più delicato del match, buttar lì servizio dal basso: ma non è uno spavaldo, lo trova divertente. Per lui il tennis deve divertire, sennò chi se ne frega. Per i patiti delle citazioni: ha l'eleganza sconnessa di un Chaplin e il disincanto brutale di un Bukowski. Ogni tanto spacca racchette, urla con se stesso, ironizza contro avversari, giudici, pubblico e resto del mondo. In un incontro contro Wawrinka, del 2023, distrusse tre racchette in 25 secondi e poi in conferenza stampa la mise così: "Ho rotto solo delle racchette, altri rompono cuori". Poi ancora: "Giocare sempre lo stesso colpo è noioso.
Se sono annoiato, perdo. E allora preferisco perdere divertendomi". Il caos come valore, un'idea quasi punk. Per queste ragioni, incrociare Bublik in tabellone prima andava bene a tutti. Ora, per stesse ragioni, eviterebbero volentieri.