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Schumi vive in "pause" sognando il lieto fine

Il tedesco alle prese con una difficile riabilitazione a due anni dall'incidente sugli sci

Schumi vive in "pause" sognando il lieto fine

È che manca ancora il lieto fine. È che il lieto fine, forse, non ci sarà. Eppure sembra una di quelle fiabe tristi che ci raccontavano da piccoli. Quelle storie cupe e tenebrose pronte però a stupirci e emozionarci all'ultimo. Invece è tutto dannatamente vero.Sono due anni oggi che Michael Schumacher è vivo e però non è veramente vivo. Due anni dal fottuto incidente sugli sci a Meribel, Alta Savoia, alpi francesi coperte di panna montata. Due anni da quella mattina nata in allegria nello chalet degli Schumi. Due anni dalla gita con amici e figli e risate e discese e curve e quel breve tratto fuori pista dove all'improvviso una roccia nascosta mise in pause la vita del re della F1. Due anni dalla doppia emorragia cerebrale. Emisfero destro ed emisfero sinistro. Due anni dall'operazione a cranio aperto, dal secondo intervento il giorno dopo e i medici della clinica universitaria di Grenoble che dicevano «tutto ciò che potevamo fare è stato fatto, l'uomo è forte, il fisico allenato, ora non resta che aspettare...».L'uomo forte oggi è terribilmente debole. Dicono che Schumi pesi 45 chili e che non parli, che sia immobile. Pochi giorni fa una rivista tedesca ha scritto che «muoveva piccoli passi aiutato». Un attimo dopo la famiglia ha fatto sapere che non esiste proprio «di pubblicare notizie prive di fondamento che alimentano false speranze...». Quei pochi che hanno contatto diretto con gli Schumacher dicono che non vi sia neppure certezza che Michael riesca a riconoscere i proprio cari. Si sa solo che gli occhi a volte lacrimano, che ha lo sguardo fisso e immerso in qualcosa che forse è il vuoto assoluto oppure una gabbia da cui vede fuori e capisce molto e però non può liberarsi. Chi ha avuto modo di parlare con la moglie Corinna o di passare a trovarlo ha fatto voto di silenzio e riservatezza assoluti. Sono una manciata di persone. Una di queste è il presidente della Federazione dell'auto ed ex capo ferrarista nell'epoca dei successi schumacheriani, Jean Todt. «Non resta che pregare tanto per lui e la famiglia, sarà un lungo percorso il loro» ripete spesso prima di cambiare discorso.Se non ci fosse di mezzo un'icona dello sport, un uomo famoso, un padre, un marito, sembrerebbe una fiaba triste e dalle atmosfere gotiche. Dove c'è il principe caduto in disgrazia e prigioniero in un castello a cui un po' assomiglia la grande villa degli Schumacher a Gland. Dove c'è una donna amorevole che lo cura, Corinna. Dove ci sono i cattivi, quelli che travestendosi da preti o altro tentarono fin dai primi giorni di carpire foto di Michael nel letto di ospedale o come quel balordo che trafugò le cartelle cliniche e, scoperto dalla polizia, finì con il suicidarsi in cella. Tragedia nella tragedia. E c'è il lago freddo e ventoso come il Lemano su cui si affaccia la villa castello immersa nei boschi. Un principe prigioniero seguito da una corte che lo cura e protegge dal mondo. Perché non si sa nulla sulle reali condizioni di Schumi, ma si sa che nella grande casa è stata allestita una mini clinica, che è seguito da uno staff di medici e fisioterapisti, che Corinna spende milioni al mese, che le ricchezze sono tante ma ha venduto il grande jet del marito.Come in una fiaba triste attendiamo tutti che qualcuno ci racconti il lieto fine. E benché dopo due anni sia ormai chiaro che le sue condizioni difficilmente miglioreranno, qualcuno ha iniziato a pensare che l'ossessiva tutela della privacy voluta dalla famiglia nasconda il desiderio o la speranza, un giorno, all'improvviso, di ripresentare Michael al mondo se non guarito, almeno in grado di schiacciare quel tasto da troppo tempo fermo su pause.

E sorriderci.

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