L'ultimo bacio di Maurito Icardi alla pazza Inter è un cucchiaio su rigore. Era un tardo pomeriggio di un sabato di dicembre, il quindici. È il settantaseiesimo minuto e in porta c'è Juan Musso, argentino, un metro e novanta di stazza, la maglia numero uno dell'Udinese sulle spalle. Non è l'ultimo gol. Non è l'atto finale in maglia neroazzurra. Non è l'addio sognato dai poeti. È un bacio sfrontato, da amante ribaldo e carnale, con il ghiaccio caldo nel cuore. Il portiere si tuffa sulla sua sinistra, la palla è un apostrofo sospeso nell'aria, Marotta, Zanetti e il giovane Zhang si abbracciano in tribuna. È quasi Natale. Poi accade tutto. Icardi torna in ritardo dalle vacanze in Argentina e non paga la multa. Wanda Nara rivela in tv a Tiki Taka i mal di pancia di Perisic. Lo spogliatoio mette sotto accusa Maurito, la società e Spalletti lo scomunicano, via la fascia da capitano. Il centravanti si ritira nella sua tenda, come un Achille sdegnato e offeso, e la sua ira ricade sul destino dell'Inter: fuori da tutto. Sono i giorni dell'esilio e del ginocchio stanco. Quando torna Icardi? Torna, ma è solo corpo. Torna e gli occhi sono vuoti. Torna e perde il tempo. La palla non lo riconosce più. Non lo tocca, non si avvicina, non arriva mai all'appuntamento. Il centrattacco non ha più la forza di gravità del bomber. Non attira nella sua orbita niente e nessuno. È un sole spento.
È il 26 maggio e contro il Sassuolo, mentre in Europa si vota, l'Inter rischia di perdere la sua Europa. La artiglia con un gol di Radja Nainggolan. Il Ninja non verrà santificato per questo. Maurito tira un rigore sporco e abbassa la testa. Nessuno lo consola. Qualche giorno dopo dirà, quasi sussurrando, che il suo cuore batte per lei. Non lascerà l'Inter. Non lascerà Wanda. È una funzione algebrica sbagliata. Da qualche parte c'è un errore.
Quello che accade dopo sembra la conseguenza di tutto questo. Non è così. C'è qualcosa di non detto che non permette davvero di chiudere la storia. Icardi è stato condannato. È colpevole. Non fa parte del progetto di Antonio Conte. Non c'è spazio per lui al centro dell'area. Non importa il passato. Non contano i cento e passa gol fatti. Marotta e Ausilio girano nei mercatini di mezza Europa e raccattano le figurine di Dzeko e Lukaku, di Rebic e di Werner, chiedono all'Atalanta di Zapata, sognano lo scambio con Dybala, ma potrebbero accontentarsi di Moise Kean. Si mercanteggia e si chiacchiera. È il calcio dell'estate. L'unica cosa certa è il desiderio di non sentire più il nome di Icardi. È qui il non detto. Maurito non viene semplicemente messo sul mercato. Maurito è svilito, svenduto, cacciato. È congedato dall'Inter con ignominia. Non importa a che prezzo e neppure che fine farà. Non c'è neppure l'antico fastidio di vederlo alla Juventus. Non c'è il timore di rendere più forti i nemici di sempre, quelli che da otto anni tengono in ostaggio lo scudetto. Icardi sparirà dalla storia dell'Inter, come un ricordo sgradito, come una sciagura, come un nove passeggero che oltraggia la maglia di Meazza, Lorenzi, Angelillo, Boninsegna, Altobelli, Serena, Ronaldo, Vieri, Ibrahimovic, Milito. È una fotografia da sbianchettare.
Qualcuno dice che la sua croce sia Wanda Nara, moglie e procuratrice. Paga per lei. Paga perché non ha preso le distanze. Non l'ha ripudiata. Ma si può chiedere a un calciatore, a qualsiasi lavoratore, di tradire il suo amore? Non si può, perfino se si chiama Wanda. Allora quello che resta di lui in questa storia è una foto di famiglia sul lago di Como. È lui che gioca con i figli, mentre l'Inter a Lugano battezza il progetto di Conte.
Icardi per anni ha camminato in equilibrio tra l'Inter e Wanda. L'amante e la moglie. Ha scelto la moglie. Non ci sarebbe altro da dire. La punizione è la damnatio memoriae, ma è davvero Wanda la colpa?
Eccolo il punto oscuro
di questa storia. Cosa ha fatto davvero Icardi per subire la più metafisica delle condanne: il suo nome nel buio. È questa la risposta che Marotta e Conte devono dare. È un atto di verità verso tutti gli interisti. Grazie.
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