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"Sogno di diventare il numero uno di un tennis che accetti le differenze"

Il ritorno in un torneo esibizione con regole strane:"Un po' troppo... Però qualcosa va cambiato: ci lascino spaccare qualche racchetta"

"Sogno di diventare il numero uno di un tennis che accetti le differenze"

«In questo periodo di clausura ho ascoltato molta musica. Mi ha colpito per esempio il rapper Salmo: è vero che nei testi ci sono un po' troppe parolacce, ma bisogna andare oltre e capire bene il messaggio». Il tennis per Matteo Berrettini è questo: non solo allenarsi, ma anche studiare per migliore. Leggendo dietro le righe.

Il suo ricomincia oggi, in un torneo-esibizione organizzato dal guru Patrick Mouratoglou a Nizza con 10 campioni impegnati nell'Ultimate Tennis Showdowns. Che sono in pratica partite a tempo con consigli dai coach, punti e non «15», carte imprevisti stile Monopoli con difficoltà guidate da un algoritmo. «Son curioso, ma non è che l'idea mi piaccia troppo. E il tennis non è uno sport da corsa».

Mouratoglou sostiene però che lo spettatore medio ha 61 anni. Ci vuole gioventù.

«Per la verità io vedo bambini e ragazzi quando sono in giro per il mondo a giocare. Certo: avere tempo e denaro per inseguire i tornei non è cosa da giovani. Diciamo che qualche cambiamento va fatto, intanto ci divertiamo e torniamo in forma».

Com'è stato il lockdown a Miami?

«Strano. Mi è mancata la famiglia, ma per contro ho provato cosa vuol dire la vita a due».

Con Ajla Tomljanovic, la fidanzata tennista.

«È stata una fortuna, per certi versi. Ho imparato qualcosa in più di me. E ho imparato a conoscere di più lei, che mi ha migliorato come persona».

Solo cuoricini?

«Ma và: ci sono stati alti e bassi, come in tutte le coppie. E poi siamo molto competitivi: a nessuno dei due piace perdere».

Però...

«Però è stato bellissimo. Come detto ora mi sento migliore e sono felice. Ho anche imparato a cucinare: cacio e pepe, pizza. Però non vedo l'ora di tornare dalla nonna, anche se mi costerà 5-6 chili in più...».

Si riparte dal numero 8 al mondo. Forse da New York.

«In questo periodo ho potuto fermarmi a pensare a quello che è accaduto l'anno scorso: È successo tutto così in fretta... La una situazione è strana, dovremo abituarci. Da New York? Ancora non lo so. Non è che andrei solo per difendere la semifinale del 2019. Ma sarei contento se si potesse essere lì».

Si farà davvero?

«Tra poco lo sapremo. E se si fa New York, di sicuro parte anche tutto il resto».

Federer è out, Djokovic e Nadal pensano al da farsi. Possiamo sognare un giorno Berrettini numero uno?

«Intanto Roger torna a gennaio e magari non è l'ultimo anno: lo abbiamo detto così tante volte... E poi gli altri due sono ancora una spanna sopra tutti».

Sì, ma un giorno?

«Diciamo che se avessi pensato tempo fa di entrare nei Top 10 mi sarei dato del matto. Adesso potermi immaginare lassù è bellissimo. In questi giorni però mi sono allenato con Tsitsipas: ogni volta è sempre più forte».

I tre big: chi ammiri di più?

«Federer, anche se mi batte sempre. È una mente superiore. Nello stesso tempo è capace di giocare, organizzare gli sponsor, tenere a bada i quattro figli. E in campo sembra che danzi: uno spettacolo. Io fino a 40 anni? Il mio fisico non reggerà».

E che tennis vorresti?

«Meno rigido. Una cosa di questo torneo penso sia giusta: ci si può lasciar andare, se parli o scherzi con l'avversario fa parte dello show. Ovviamente nel rispetto reciproco. E se rompi una racchetta, pazienza. Io non lo faccio mai, ma mi piacerebbe essere un po' più focoso».

Un tennis alla Kyrgyos?

«Un tennis che accetti le differenza tra le persone. Al proposito sto leggendo un libro che mi ha consigliato il mio mental coach Stefano Massari. Geniale».

Ovvero?

«Si chiama Il più grande uomo scimmia del pleistocene, racconta cose di migliaia di anni fa, che poi sono uguali a quelle di oggi. Insomma, la morale è che non cambiamo mai.

Ma almeno ridiamoci un po' su».

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