
Milano - I miracoli, nel calcio, non esistono. Lo sa bene anche Clarence Seedorf, ieri sera al debutto sulla panchina del malconcio Milan. Il successo striminzito sul Verona, 1 a 0 di rigore, è il plastico risultato degli stenti patiti in passato. Non si può passare, in pochi giorni, dallo stordimento di Reggio Emilia col Sassuolo allo spettacolo. Solo attraverso l'iniezione di entusiasmo e fiducia. Costa una fatica incredibile trovare un varco nella munita difesa del Verona. Ci riesce solo alla fine di un lungo assedio che comporta rischi ridotti per Mandorlini e molti affanni invece per i rossoneri nonostante lo schieramento. A dimostrazione che non è col numero dei giocatori dedicati all'attacco che arrivano i gol, lo spettacolo, il gioco scintillante. C'è bisogno di tempo, di mettere a punto i meccanismi e di trovare intese che ora sono tutte da inventare. Di rigore il primo successo della nuova era Seedorf (fallo inutile di Gonzales su Kakà). Balotelli ritrova la mira anche dal dischetto: solita finta ma questa volta manda dall'altra parte il portiere. Un segno del ritorno alle vecchie, migliori abitudini? Lo capiremo mercoledì sera in coppa Italia con l'Udinese. Nemmeno la presenza di Seedorf in panchina fa da richiamo. Forse è colpa del diluvio, forse anche della classifica che deprime, di sicuro il Milan comincia che San Siro è mezzo deserto anche se il prato regge bene la pioggia. Si muovono un po' di mostri sacri, Paolo Maldini con i figli, qualche vecchio sodale, Edgar Davids, per assistere al debutto del professore che la curva saluta con sufficiente calore. La novità annunciata del 4-2-3-1 produce effetti benefici nei primi 20 minuti (Balotelli sfiora il palo lontano sull'assist di Kakà) ma di fatto ottiene solo il risultato di schiacciare tutto il Verona nella sua metà-campo. Senza Toni, influenzato, senza Jorginho, partito per Napoli, l'unica spina nel fianco è Iturbe (quando parte palla al piede faticano a frenarlo), Mandorlini si rifugia in un bel catenaccio d'antan che regge alle prime spallate e poi vive di rendita sulla fatica rossonera di aprirsi varchi e liberare al tiro uno dei quattro attaccanti schierati. Kakà non ha il piede felice, non gli riescono dribbling elementari, Honda sembra un pesciolino fuor d'acqua e all'atto della sostituzione (con Birsa) nessuno se ne lamenta, Robinho è la solita anima in pena oltre che la disperazione dei suoi colleghi, Balotelli continua a tirare da ogni posizione senza prendere la porta come si conviene. E quando succede, nella ripresa, di perdere un paio di pallette schizzate sull'erba umida invita il pubblico a portare pazienza. Non ne ha avuta anche abbastanza? Seedorf, elegantissimo in panchina, cappotto e sciarpa, parla e discute con Tassotti, lo ascolta e prende nota perché anche se nato pronto qualcosa dal vecchio allenatore può apprendere: e non si può nemmeno apprendere che in poche ore risolva deficit di qualche mese se non di un paio di anni. Appena la stanchezza toglie lucidità al Milan, e questo accade nella ripresa, il Verona recupera le energie migliori per presentarsi dalle parti di Abbiati, rimasto per tutto il primo tempo a prendere umidità (Martinho è il primo a presentarsi al tiro). Non c'è un aiutino dalla buona sorte: l'unico tiro serio, reso pericoloso da una deviazione di Maietta, firmato da Robinho, finisce sul palo salvando la pelle di Rafael.
Seedorf le prova tutte: anche Petagna lancia nella mischia, altro non gli consente la provvista in panchina. Così bisogna aspettare il rigore di Balotelli, nel finale, per vedere sorridere Clarence, cui Mario dedica il sigillo.