La non notizia diventa una notizia. I calciatori della nazionale giapponese hanno lasciato pulito, brillante e profumato lo spogliatoio dello stadio di Rostov dopo la sconfitta contro il Belgio. Finite le pulizie hanno collocato su un tavolino, con un piccolo origami (un orizuru, preghiera per la pace) un foglietto sul quale, in lingua russa, hanno scritto spasibo, grazie. GRAZIE, per averci dato, aggiungo io, il privilegio di giocare il mondiale, grazie per averci ospitato, grazie per avere tifato per la nostra nazionale. I tifosi si sono comportati con la stessa educazione, imprevista per le abitudini scostumate del resto del mondo: al termine delle quattro partite giocate dalla squadra, hanno ripulito gradoni e seggiolini, riponendo in speciali sacchi blu della spazzatura, con il criterio scrupoloso della raccolta differenziata, scatolette, confezioni in plastica, coriandoli, cannucce, souvenir ormai malinconico di una festa sognata e svanita all'ultimo gol, all'ultimo minuto. L'ultimo episodio del manga Capitan Tsubasa, dal titolo Il Grande Giorno, aveva visto Holly e Benji giocarsi il mondiale contro la Germania e vincere all'ultimo assalto, in contropiede. La fantasia è andata in frantumi contro la realtà crudele di Lukaku. Ma non c'è stato nessun urlo furioso, nessun insulto all'avversario fortunato, nessuna protesta contro l'arbitro, nessuna scena straziante e teatrale ma lacrime di grandissima dignità, un'uscita silenziosa, di rispetto per il vincitore e il risultato, per il gioco, per lo spirito dello sport. Anche se c'è una corrente di pensiero opposta, è quella della nazionale senegalese che ha spedito una lettera di protesta alla Fifa, per l'atteggiamento troppo docile dei giapponesi contro la Polonia, un chinsuko, un biscottino per arrivare comodamente agli ottavi. Ma nulla a che fare con la buona creanza, al rigore e alla grazia, un repertorio che non ci appartiene più, dimenticato e buttato nella discarica della vita quotidiana, dove la maleducazione è l'undicesimo comandamento, la mancanza di rispetto è un diritto-dovere che onoriamo e celebriamo, con volgarità immensa, in ogni momento, tra fischi, insulti, bestemmie. Noi randagi, noi europei, intendo, ce ne freghiamo, lasciando dovunque e comunque, i resti di un pasto, di una adunata, di un concerto, di un comizio, di un incontro di football. Trasformando il ritrovo, la sala, la stanza in un accampamento abbandonato, una distesa lercia, scorie di un rave party.
Quello spogliatoio mondiale dei
giapponesi, come un museo, un tempio immacolato. È un messaggio di grande classe, è atto di grande civiltà. Ma diventa una notizia che cadrà nel diario dei ricordi. O, più probabilmente, nel debordante cestino di rifiuti.
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