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Tavecchio capo del pallone tra pianti, veleni e tradimenti

"Ha vinto la serietà". Serie A spaccata, solo 13 a favore Abete lascia attaccando Malagò, Agnelli e i giornali

Tavecchio capo del pallone tra pianti, veleni e tradimenti

Roma - Vittoria a mani basse per un pallone a mani alzate. Non si sono sprecati i voti perché Carlo Tavecchio, anni settantuno, una vita a remare nel calcio, una faccia da bonario vecchio zio, non ha mai tremato. Ed oggi è presidente della federazione gioco calcio con un bel carico di problemi da risolvere e un ct da ingaggiare. Vittoria annunciata alla vigilia, e portata a casa in tre turni di voto e sempre oltre il muro del 60 per cento. Con un 63 per cento finale che toglie ogni dubbio su traditori e chiacchieroni. Vittoria che ha segnalato la compattezza di tre leghe su quattro. La serie A non ha smesso di litigare, farsi una guerra sotterranea, giocare con il voto nell'urna. Cinque squadre (Torino, Juve, Roma, Sassuolo ed Empoli) hanno appoggiato Albertini; Cagliari e Fiorentina hanno presentato la scheda bianca; qualche altra ha fatto giochi da tre tavolette, una volta di qua ed una di là. Sette in tutto le dissidenti, e 13 sì Tav. Alla faccia della sintesi di Galliani: «Non è vero che la serie A è spaccata, solo quattro hanno votato contro». Chissà cosa ne sortirà nei voti di Lega.

Giornata tra lacrime e sangue nelle parole. Giancarlo Abete ha salutato la compagnia con molta commozione ed altrettanta durezza per i suoi avversari vicini e lontani. Per una volta nella vita non è stato fumo ma solo arrosto. Ha attaccato Malagò (casualmente?) assente, con il quale il contenzioso è di lunga data: «Io parlo con i numeri altro che chiacchiere, non basta piacersi e compiacersi e non esistono uomini della provvidenza». Gli ha spiegato che il movimento dello sport italiano e lo Stato devono ringraziare il calcio per i danari che porta in cassa e guai a tagliare i contributi. «Quello che fatturiamo in diritti televisivi vale più dell'intero bilancio del Coni e di tutte le federazioni italiane». Ha puntato duro su Agnelli: «Siamo tutti inadeguati. Anche quelli che lo dicono. Si facessero un esame di coscienza, una volta tanto, anzichè sputare veleno sul nostro mondo». L'ex presidente, infine, si è lanciato in una difesa appassionata del suo mondo, ha ricordato a governi presenti e passati i deficit di Stato, i disastri combinati, lo sfascio, ha sgranato numeri per concludere: «Noi siamo migliori rispetto al sistema Paese che ha numeri devastanti». E si è rivolto perfino a editori e media che sparano fuoco nemico: «Vediamo cosa state combinando nelle vostre aziende? In 7 anni avete aumentato i prezzi del 40%. Vediamo quante copie perdete e come risolvete i problemi dell'occupazione». E giù numeri.

Non si è negato niente prima di salutare e vivere la giornata tra i soliti turbamenti del calcio. Preziosi che litiga con Agnelli. «Ci ha chiesto in ginocchio un posto in consiglio federale». E l'altro: «Tu non mi devi nominare». Ferrero, presidente Samp, che dipinge Lotito con una pennellata: «Al funerale vorrebbe fare il morto e al matrimonio lo sposo». E il presidente Lazio che guizza e sguazza fra le chiacchiere e gli ricorda le regole democratiche. L'Inter che emette un comunicato per far sapere che ha sempre puntato sul Tav, fra l'altro suo tifoso. Chi vince si diverte o piange come Tavecchio che, oramai, preso dalla tremarella della parolina di troppo, si è fatto scrivere tutti i discorsi. Il groppo in gola è arrivato toccando il punto debole. «Hanno detto che non ho glamour e sono un po' ruvido. In una società dove conta più l'apparire che l'essere e le parole più dei fatti, sarà importante imparare. Ma qui hanno vinto la serietà e la democrazia. State tranquilli, sarò il presidente di tutti». Stringato nel suo sano essere lombardo. Poi sorrisi, applausi e baci per tutti.

La commedia del calcio è ricominciata.

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